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Torniamo a noi; torniamo a riprendere il filo del ragionamento interrotto. Contento io era per una parte del novello mio impiego, ma per l’altra rincrescevami in quei primi tempi vedermi disoccupato. Il mestiere dell’Avvocato è il più utile e il più decoroso del mondo, ma convien fare un lunghissimo noviziato, prima di essere conosciuti; pochi arrivano ad essere di quelli del primo rango, che sono i soli felici, e tutti gli altri restano nella turba de’ malcontenti. Non so a qual grado foss’io arrivato, se continuato avessi per lungo tempo in un tale esercizio. So bene, che i miei principj sono stati assai fortunati, e che tutti mi presagivano buona sorte. Non ho portata la Toga che otto mesi soli, e in otto mesi ho trattato due cause, fra le quali una di grandissima conseguenza, cosa assai rara nel nostro Paese, dove un giovane Avvocato dura fatica, dopo un più lungo tempo, ad esporsi, poichè non è facile a ritrovar la persona, che voglia confidar la sua causa alle mani di un principiante. Io aveva dato qualche saggio di me nell’Accademia del Dottore Ortolani, famoso per gli allievi da lui fatti nello Studio legale, e famoso altresì, perchè essendo egli divenuto cieco del tutto, non voleva esserlo e non lo pareva. Vi sono in Venezia varie di queste Accademie, nelle quali si esercita la gioventù, che vuole incamminarsi per la via dell’Avvocatura. Si figura una Causa fra due o più persone. Due Accademici prendono a difendere una parte, e due l’altra. Si disputa alla maniera del Veneto Foro. Gli astanti sono i Giudici, si presenta una pallottola a ciascheduno di loro, e ponendola essi nell’urna, o per il sì, o per il no, i difensori dell’una parte o dell’altra vincono l’opinione, e gli altri la perdono. Mi ricordo aver io proposto in detta Accademia il caso, che ho poi disteso nella mia Commedia dell’Avvocato, e mi sovviene che cedendo io la miglior Causa ai miei avversari, mi ha toccato difender la Giovane, e sostenere la donazione. Ho perduto, egli è vero, ma so che la mia disputa non mi fe disonore.

Nell’ozio, in cui io era obbligato di vivere, il dopo pranzo, dovendo restare in casa, nel mio Mezà, per aspettare se la fortuna volea mandarmi de’ litiganti, o almeno per acquistare concetto di giovane attento, ed attaccato al mestiere, mi si risvegliavano in


mente