coli d’ogni sorte, corse, giostre, combattimenti di tori; e nell’estate vi si recitano inclusive commedie senz’altro lume che quello del giorno naturale. A tale effetto si erige nel mezzo di questa piazza, sopra cavalletti fortissimi, un teatro di legno, che si disfà nell’inverno e che si monta di nuovo nella bella stagione, e vengono le migliori compagnie d’Italia ad esercitarvi a vicenda il loro ingegno. Per gli spettatori non vi sono palchetti, formandosi mediante un bel recinto di panche una vasta platea con sedie. La plebe prende posto con pochissima spesa sulle gradinate, che sono in faccia al teatro, e malgrado la meschinità del prezzo d’ingresso, non vi è platea in Italia che renda quanto l’Arena. Il giorno dopo il mio arrivo, nell’uscir dall’albergo vidi avvisi teatrali, e lessi che si rappresentava in quel giorno Arlecchino muto per timore. Ci vado il dopo pranzo, e mi pongo nel recinto in mezzo all’Arena, ov’era una comitiva numerosissima. S’alza il sipario. I comici dovean fare una scusa per motivo della mutazione della rappresentazione; non si recitava altrimenti il Muto per timore, ma bensì un’altra commedia, del cui titolo adesso più non mi ricordo. Ma qual piacevole maraviglia fu la mia! L’attore che si presenta ad arringare il pubblico, è appunto il mio caro Casali, promotore e proprietario del mio Belisario. Lascio il posto per salir subito sul palco; ma siccome il luogo non era troppo vasto, non mi si voleva lasciar entrare. Cerco del signor Casali; viene, mi vede, rimane in estasi. Mi fa salire, mi presenta al direttore, alla prima attrice, alla seconda, alla terza, a tutta la compagnia. Tutti volean parlarmi: Casali mi strappa dal circolo, e mi conduce dietro una scena; in questo tempo si muta la decorazione, mi trovo allo scoperto, fuggo, son fischiato. Cattivo annunzio per un autore: i Veronesi però mi hanno in seguito molto bene indennizzato di questo piccolo disgusto. Questa compagnia era appunto quella di cui Casali mi aveva parlato a Milano, e che era addetta al teatro Grimani a San Samuel in Venezia, ove andava tutti gli anni per far le sue recite l’autunno e l’inverno, passando poi l’estate, e la primavera in terraferma. Direttore della medesima era il signor Imer genovese, uomo pulitissimo e sommamente garbato, che mi invitò a desinar con lui il giorno dopo, giorno di vacanza; ed io accettai l’invito promettendogli in contraccambio la lettura del mio Belisario. Eravamo tutti d’accordo e contenti. Vado adunque il giorno dipoi a casa del direttore, e vi trovo adunata tutta la compagnia. Voleva Imer fare il regalo ai suoi compagni di una novità di cui Casali gli aveva già avvertiti. Il pranzo era splendido, e l’allegria dei comici piacevolissima. Si facevano brindisi, si cantavano canzonette da tavola. Questa era gente che mi preveniva in ogni cosa; in somma erano arrolatori che facean di tutto per ingaggiarmi. Finito il pranzo, ci radunammo nella camera del direttore, ed io lessi il mio scritto; fu ascoltato con attenzione, e al termine della lettura l’applauso fu completo e generale. Imer, in tuono magistrale, mi prese per la mano, e mi disse: Bravo! Tutti si congratulano meco; Casali piange dal contento. Mi domandò molto cortesemente uno degli attori, se i suoi compagni potevano essere sì fortunati da recitare i primi la mia rappresentazione. Casali si alza, e con deciso tono ripiglia: Sì, signore, il signor Goldoni m’ha fatto l’onore di lavorar per me: e prendendo la composizione, che era restata sulla tavola, soggiunse: Con buona licenza dell’autore vado a farne la copia io medesimo. — E senza aspettar risposta dall’autore la porta seco. Imer mi tira da parte, e mi prega di ac-