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94 parte prima

appunto da me trovata in un borgo? Uno de’ miei maggiori dispiaceri era di non poter rimunerare il servitore del curato. Lo pregai di aspettarmi ad un piccolo albergo, ove eravamo smontati, e diressi i miei passi verso il palazzo del governo. Voltando alla cantonata di una strada che mi aveano insegnata, vedo un uomo, che zoppicando viene al mio incontro. Era il signor Leopoldo Scacciati, zio della mia bella compatriotta. Stupito di vedermi, come era io d’incontrarlo mi fa le sue lagnanze per non avermi più riveduto in Crema all’albergo del Cervo. Lo pongo al fatto della mia precipitosa partenza da questa città, gli fo il racconto dell’avvenimento spiacevole da me provato recentemente, e gli dipingo il doloroso stato in cui mi vedevo ridotto. Quest’uomo, qualunque fosse, pareva veramente commosso fino al punto di piangere, e mi pregò di andare in sua casa. In quel momento mi abbisognava tutto; non sapendo per altro quello che Scacciati e la sua nipote facessero in Brescia, ricusai di andarvi. Lo zoppo, assai più piccolo di me, mi salta al collo, mi prega, mi abbraccia, mi rammenta le sue obbligazioni, la sua riconoscenza, il suo attaccamento per me, mi prende per la mano, mi trascina seco. La sua abitazione non era molto lungi: arriviamo alla porta, mi serra dentro, indi grida quanto poteva: Margherita, Margherita, abbiamo il signor Goldoni! — Scende la signora Margheritina, mi abbraccia, mi persuade a salire, mi fa violenza, ed io salgo con loro. Mi domandò subito la veneziana molte cose riguardanti la mia persona; avrei voluto soddisfarla, ma ricordandomi del servitore del curato, dimostrai una certa inquietudine, della quale mi dimandarono il motivo; lo dissi, e Scacciati partì nell’atto per dar qualche quattrino a quel buon uomo che mi aspettava. Rimasto solo con la mia compatriotta, le fo il quadro della mia istoria, ed ella mi rende conto della sua. Scacciati non era altrimenti suo zio; ma bensì un birbante che l’aveva rapita ai genitori, e l’avea venduta ad un uomo ricco, che l’abbandonò in capo a due mesi, pagando meglio il rapitore che la signorina. Ella era stanca di condurre i suoi giorni con un vagabondo di tal sorte, il quale con profusione spendeva quello ch’ella guadagnava con repugnanza. Avea messo insieme a Milano molto oro; con tutto ciò erano partiti da questa città con più debiti che capitali. Fecero a Brescia altrettanto. Scacciati era l’uomo più vizioso del mondo, ed il meno ragionevole. Ella voleva disfarsene, e chiese a me consiglio per eseguirne l’idea. Se fossi stato ricco, l’avrei liberata subito dalla schiavitù del suo tiranno; ma nella condizione in cui ero, non potei darle altro consiglio che quello di ricorrere ai genitori, procurando di avvicinarsi di nuovo a quelli che avevano tutto il diritto di reclamarla.

Mentre ci trattenevamo in tali discorsi, entra lo zoppo, e vedendoci ambedue accanto, scherza, e crede subito che la signorina si sia data premura di farmi scordare i miei dispiaceri. Che uomo cattivo! altro non conosceva che la dissolutezza. Veramente mi dispiaceva di trovarmi costretto a condannarlo, mentre egli faceva di tutto per obbligarmi. — Ebbene, egli disse, giacchè quest’oggi non abbiamo da noi veruno, ceneremo tutti tre insieme. Venite, venite meco. — Gli vado dietro, ed egli mi conduce in una camera benissimo mobiliata, ove era un letto a padiglione; questa, soggiunse, è la camera di cerimonia della signorina; voi l’occuperete solo, o accompagnato, come più vi piacerà. — Il luogo mi fece orrore; e volevo andarmene nell’atto; ma l’uomo accorto avvedutosi della mia repugnanza, mi fece vedere un’altra stanzetta, che non ricusai, at-