Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
90 | parte prima |
ministro ebbe tempo d’informarsi dove avevo passata la notte, e si era discreduto sul conto mio; io però non volli più espormi a simili disgusti, e gli chiesi il permesso di dimettermi. Me lo concesse, ed io gli feci le mie scuse, i miei ringraziamenti. Misi in ordine i miei fagotti, accaparrai un calesse per Modena, ove stava tuttavia mia madre, e tre giorni dopo partii.
CAPITOLO XXXII.
- Mio arrivo a Parma. — Terribile spavento dei Parmigiani. — Battaglia di Parma nel 1733. — Morte del general tedesco. — Veduta del campo dopo la battaglia. — Mutazione di viaggio. — Avvenimento dolorosissimo per me.
Giunto a Parma il dì 28 del mese di giugno, la vigilia di san Pietro del 1733, giorno memorabile per questa città, andai a prendere alloggio all’albergo del Gallo. La mattina uno spaventoso strepito mi sveglia. Balzo dal letto, apro la vetrata della mia camera, e vedo la piazza piena di gente: chi corre da una parte, chi corre dall’altra; alcuni si urtano, altri piangono, chi urla, chi è in desolazione; donne che portano i figli sulle braccia, altri che li strascinano sul terreno. Qua si vedono persone cariche di sporte, panieri, bauli e fagotti; là vecchi che cadono, malati in camicia, carrette sossopra, cavalli in fuga. Che cosa è questa, dicevo tra me: è questa forse la fine del mondo? mi metto sopra la camicia il mio gabbano, scendo in un baleno, entro in cucina, domando, fo delle ricerche, e nessuno mi risponde. L’albergatore ammassa la sua argenteria, e sua moglie tutta scapigliata tiene in mano un piccolo scrigno, ed altre robe nel grembiule; voglio parlare, ella mi serra la porta in faccia, e parte correndo. Che cosa è questa? che cosa è questa? Domando a tutti quelli che incontro. In questo mentre vedo un uomo all’ingresso della stalla, lo riconosco per il mio vetturino, e mi accosto a lui: egli era in grado di appagare la mia curiosità. — Ecco, signore, egli disse, tutta una città in ispavento, e non senza ragione: i Tedeschi sono alle porte, e se entrano, è inevitabile il saccheggio. Tutti si salvano nelle chiese: ciascuno porta i suoi capitali sotto la custodia di Dio. — Ma i soldati, io risposi, in simili casi daranno luogo alla riflessione? poi i Tedeschi son eglino tutti cattolici? — Mentre discorrevo così col mio conduttore, ecco che si muta scena: si ascoltan gridi di gioia, si suonano le campane per tutto, si tirano mortaletti. Tutti escono di chiesa, tutti riportano i loro beni: chi si cerca, chi s’incontra, chi s’abbraccia. E qual fu mai la cagione di questo cambiamento? Eccovene per l’intiero il racconto. Un doppio spione al soldo degli alleati, come pure a quello dei Tedeschi, era stato la notte precedente al campo dei primi nel villaggio di San Pietro, una lega distante dalla città, e aveva riferito che un distaccamento di truppe tedesche doveva foraggiare nei contorni di Parma, con intenzione di fare una sorpresa alla città. Il maresciallo di Covgni, che comandava allora l’esercito, distaccò due reggimenti, Piccardia e Champagne, e li spedì per fare una scoperta; ma siccome questo bravo generale non mancava mai di precauzione e di vigilanza, fece subito arrestare lo spione, di cui diffidava, e fece mettere tutto il campo in sull’armi. Non la sbagliò; giunti i due reggimenti alla vista delle fortificazioni della Città scoprirono l’esercito tedesco composto di quarantamila uomini