Pagina:Goldoni - Memorie, Sonzogno, 1888.djvu/82

80 parte prima

scritto la vostra composizione secondo i veri principii della tragedia. Voi dunque non sapevate che il dramma in musica fosse un’opera imperfetta, sottoposta a regole ed usi, privi, è vero, di senso comune, ma che bisogna seguitare a rigor di lettera? Se foste stato in Francia, avreste potuto darvi maggior pensiero per piacere al pubblico, ma qui bisogna rifarsi dal piacere agli attori ed alle attrici, bisogna contentare il compositore di musica, convien consultare il pittore delle decorazioni: ogni cosa ha le sue regole, e sarebbe un delitto di lesa drammaturgia, se si osasse di violarle, e non si osservassero. Ascoltate (egli proseguì), sono per indicarvi alcune di queste regole, che sono immutabili, e che voi non conoscete. Ciascuno dei tre principali soggetti del dramma dee cantar cinque arie: due nel primo atto; due nel secondo, ed una nel terzo. La seconda attrice, ed il secondo soprano, non possono averne che tre; e le ultime parti debbono contentarsi di una, o di due al più. L’autore delle parole dee somministrare al musico le differenti ombre che formano il chiaroscuro della musica, ed osservar bene che non vengano di seguito due arie patetiche, essendo inoltre necessario spartire con la medesima precauzione le arie di bravura, le arie di azione, di mezzo-carattere, i minuet, ed i rondò. Convien sopratutto badar bene di non dare arie di affetto e di commozione, o arie di bravura, o rondò alle seconde parti. Bisogna che questa povera gente si contenti di ciò che loro è assegnato, essendo ad essi proibito il farsi onore. — Il signor Prata voleva dir di più. — Basta così, io ripresi, o signore, non vi date la pena di dirmi altro. — Lo ringraziai nuovamente, e presi da lui congedo. Conobbi allora che le persone che avean dato giudizio della mia composizione a Brescia, avevano ragione. Rilevai che il conte Trissino di Vicenza aveva anche più ragione degli altri, e che io solo avevo il torto.

CAPITOLO XXIX.

Sacrifizio della mia Amalasunta. — Visita impensata al signor residente. — Conforto anche più impensato per me. — Arrivo di un anonimo a Milano. — Apertura dello spettacolo per mezzo mio. — Piccola operetta da me composta. — Partenza del residente per Venezia.

Entrato in casa, avevo freddo, caldo, ed ero nella maggiore umiliazione. Levo di tasca il mio scritto, e mi vien voglia di lacerarlo. Il giovine dell’albergo domanda gli ordini per la cena. — Non cenerò, fatemi bensì un buon fuoco. — Avevo sempre in mano la mia Amalasunta. Ne rileggevo alcuni versi, e li trovavo pieni di grazia. Maledette regole! la mia composizione è buona, ne son sicuro; sì, ella è buona; è bensì cattivo il teatro, gli attori, le attrici, i maestri di musica, i decoratori... che il diavolo se li porti; e te pure disgraziata mia composizione, che mi sei costata tanta pena, e che hai deluse le mie speranze, te divorino adesso le fiamme! — La getto nel fuoco, e sto a vederla bruciare a sangue freddo con una specie di compiacenza. Il mio dispiacere e la mia collera avevano bisogno di sfogo; rivolsi la vendetta contro me stesso, e così ebbi le mie soddisfazioni. Tutto era finito. Non pensavo più alla mia composizione: ma rivoltando la cenere con le molle, e radunando i frammenti del mio manoscritto per compierne la combustione, mi venne in pensiero, che in nessun caso non aveva mai fatto per i