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capitolo xxvii | 77 |
che forma la delizia del teatro italiano; non incontrai però mai nè quei visi neri, nè quegli occhi piccoli, nè quei vestiti di quattro colori, che fanno ridere; vidi bensì delle code di lepre sopra i cappelli, ornamento anche al giorno d’oggi dei contadini di questa regione. Parlerò della maschera, del carattere, e dell’origine degli arlecchini in un capitolo, che deve essere destinato all’istoria delle quattro maschere della commedia italiana.
Giunto a Bergamo, smontai a un’osteria dei sobborghi, non salendo le vetture alla città, che resta altissima, e sommamente scoscesa, e andai a piedi fino al quartiere del governo, che occupa appunto la sommità di quell’alpestre montagna. Stanco all’estremo, e maledicendo la curiosità che mi aveva trascinato in questo luogo senza conoscere alcuno, e nel bisogno di prender riposo, mi ricordai che il signor Porta, mio antico compagno nella cancelleria criminale di Chiozza, era stato nominato cancellier civile di Bergamo. Cercai la sua abitazione, e la trovai; ma il mio amico non vi era, essendo sei leghe lontano per una commissione relativa alla sua carica. Pregai il suo cameriere a volermi permettere di riposar un momento, e parlando con lui, domandai chi fosse il governatore della città. Qual buona nuova! qual cosa inaspettata e piacevole per me! Era sua eccellenza Bonfaldini, quell’istesso che fu a Chiozza, dal quale avevo servito in qualità di vice-cancelliere: mi trovai dunque tutto in un tratto in un paese di conoscenza; andai al palazzo e mi feci annunziare. Stavo aspettando in anticamera che mi facesse entrare, allorchè sento il governatore stesso, che ride dicendo ad alta voce: — Ah! ah! l’astrologo! Ecco l’astrologo. Fatelo passare. Signore, voi vedrete adesso l’astrologo. — Non sapevo che cosa volesse dire, ed ero in timore che mi si volesse mettere in ridicolo: entrai, ma molto sconcertato. Mi rianima il governatore, e mi pone subito in calma; viene al mio incontro, e presentandomi alla signora governatrice ed alla conversazione, disse: ecco qui il signor Goldoni; vi ricordate, o signore, della contessa C***, sulla quale abbiamo tanto scherzato, riguardo all’eterna sua toeletta, alle messe perdute, ed al prognostico dell’anonimo? Ebbene l’autore di questo almanacco critico, che voi avete letto, è il signor Goldoni. Ciascuno allora mi usa gentilezze: il governatore mi esibisce quartiere e tavola; io accetto, e ne profitto per quindici giorni, conducendo la vita più piacevole del mondo. Bisognava per altro far conversazione alle dame, ed io non era nè fortunato, nè ricco. Il governatore, garbatissimo e sommamente prudente, non mi chiese il motivo di tal viaggio; dopo pochi giorni però credei bene di doverlo mettere al fatto delle mie avventure e del mio stato. Ne parve commosso, e mi offrì di tenermi in sua casa per tutto il tempo dei dieci mesi che ancora gli restavano per compiere il periodo del suo governo. Non dovevo accettare, e per questa ragione lo ringraziai, pregandolo di favorirmi piuttosto lettere di raccomandazione per Milano. Me ne diede parecchie; ed una, fra le altre, della signora governatrice per il residente di Venezia, mi fu utilissima.
Spirati i quindici giorni, presi congedo da sua eccellenza. Io non era di buon umore; ed egli mi fece molte domande, ma non osai mai dir nulla; ben si accorse però che il mio impiccio procedeva da mancanza di danaro. Mi offre adunque la borsa; ricuso. Egli insiste; prendo allora con la maggior modestia dieci zecchini di cui volevo fargli l’obbligazione, ma egli non volle. Che bontà! che grazia! Bisognava partire; e il giorno dopo mi misi in viaggio.