Pagina:Goldoni - Memorie, Sonzogno, 1888.djvu/74

72 parte prima


tempo divenni compiutamente amante, e feci colla mia non spiacevole brutta un buon contratto di matrimonio in tutte le regole e forme. Vero è, che la madre della signorina ed i suoi aderenti non mancarono di scaltrezza per farmi cadere nei lacci. La nostra convenzione però conteneva alcuni articoli del maggior mio vantaggio: dovevo ricevere una rendita che apparteneva alla signorina; sua madre doveva cederle i suoi diamanti; ed oltre a ciò dovevo metter le mani sopra una somma considerabile dì un amico di casa che non mi si volle nominare. Continuavo sempre a farmi vedere dalla signorina Mar ***, e vi passavo le sere secondo il mio solito: la zia però diffidava della nipote, vedendo che io usava colla medesima attenzioni non tanto riservate. Sapeva, che da un certo tempo io saliva sempre al secondo piano avanti di entrare nel primo: il dispetto la divorava, e voleva disfarsi della sorella, delle nipoti e di me. Sollecitò a quest’effetto il suo matrimonio col gentiluomo, che credeva di aver nella rete, facendogli parlare per convenir del tempo e delle condizioni. Ma qual fu mai la di lei maraviglia ed umiliazione, quando ebbe in risposta, che sua eccellenza domandava la metà dei beni della signorina in donazione maritandosi, e l’altra metà dopo la di lei morte? Si abbandonò allora ai più violenti impeti di rabbia, d’odio e di disprezzo, mandò un formale rifiuto al suo pretendente, poco mancando che non morisse di dolore. Le persone di casa, che ascoltano e parlano, riferirono tutto ciò che sapevano alla sorella maggiore, ed ecco la nipote in egual modo che la madre nel più gran giubilo. La signorina Mar*** non ardiva dir nulla; divorava bensì in segreto il suo rancore, e vedendomi affettare attenzioni per la nipote, con que’ suoi occhi grossi, accesi di collera, mi vibrava guardi terribili. In questa compagnia eravamo tutti cattivi politici. La signorina Mar*** che non sapeva come procedevano le cose tra me e la sua nipote, sperava sempre di potermi strappare dall’oggetto della sua gelosia, e mediante la differenza delle loro fortune credeva di potermi rivedere a’ suoi piedi; ma il tratto di perfidia, di cui io son per accusarmi, la disingannò intieramente. Avevo composta una canzonetta per la mia bella, avevo fatto compor la musica da un dilettante pieno di buon gusto, ed avevo ideato di farla cantare in una serenata sul canale dove corrispondeva la casa di quelle signore. Credei che questo appunto fosse il momento favorevole per far eseguire la mia idea, sicuro di far piacere all’una, e rabbia all’altra. Un giorno, in cui eravamo nella sala della zia, facendo la partita intorno le nove ore della sera, si sente nel canale una strepitosa sinfonia sotto il balcone del primo piano, e per conseguenza sotto le finestre ancora del secondo. Ognuno si alza, ponendosi in situazione di goderne. Finita l’introduzione, si ascolta la voce amabile di Agnese, che era la cantatrice di moda per le serenate, la quale per la bellezza della sua voce, e per la chiarezza della sua espressione fece molto bene gustar la musica, ed applaudir pienamente le armoniche strofette. Ebbe sorte questa canzonetta in Venezia, poichè si cantava dappertutto; suscitò peraltro inquietudine nello spirito delle due rivali, ciascuna delle quali aveva diritto di appropriarla a sè stessa. Procurai di acquietar sotto voce la nipote, assicurandola che la festa era stata dedicata a lei sola, e lasciai l’altra nell’agitazione e nel dubbio. Tutti mi facevano complimenti; io mi schermiva, e mantenevo l’incognito, non dispiacendomi per altro di esser lo scopo del loro sospetto. Il giorno dopo mi portai alla casa di quelle signore all’ora solita. La signorina Mar***, che mi faceva la posta,