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68 | parte prima |
ma la voglia di lavorare e il prurito di litigare non mi faranno mai dar principio colle cattive cause che mi proponete. — Ah, ah, ella disse ridendo, voi disprezzate i miei clienti, perchè vi avevo avvertito che non vi era da guadagnar nulla; ma sentite: le mie due vedove sono ricche, sarete ben pagato, e sarete inclusive pagato anticipatamente, se volete. — Vedo venire da lontano il servitore; mi alzo, e dico alla ciarliera in un tono di voce intrepido e risoluto: — No, voi non mi conoscete, io sono un uomo d’onore... — Ella mi prende allora per la mano, e mi dice con aria grave: — Bravo. Continuate sempre nei medesimi sentimenti. — Ah, ah, io le dissi, voi mutate linguaggio? — Sì, ella riprese, e quello che io prendo adesso, vale assai più dell’altro, di cui mi ero servita. La nostra conversazione non è stata senza mistero; ricordatevene, e guardatevi di non parlare a veruno. Addio, signore: siate sempre saggio, siate sempre onorato, ve ne troverete bene. — Ella se ne va, ed io resto nella maggior maraviglia. Non sapevo che cosa volesse dire questo; intesi bensì dopo, essere questa una esploratrice venuta per scandagliarmi, ma non seppi, nè volli sapere, chi me l’avesse indirizzata.
CAPITOLO XXIV.
- Felice condizione di un buon avvocato. — Tratto singolare di un avvocato veneziano. — Almanacco di mia invenzione. — Amalasunta, tragedia lirica da me composta.
Ero già avvocato, già ero stato presentato alla curia, e non si trattava che di aver clienti: mi portavo ogni giorno al palazzo ad udire le arringhe dei maestri dell’arte; e guardavo per ogni dove se il mio aspetto risvegliava effetti simpatici in qualche litigante, che avesse avuta volontà di produrmi almeno in una causa di appello. Un avvocato novizio non può figurare e farsi onore nei tribunali di prima istanza, ma solo nelle Corti superiori può far spiccare la scienza, la facondia, la voce, la grazia, quattro mezzi in egual modo necessari perchè in Venezia un avvocato sia posto nel primo grado. Il mio zio Indric mi prometteva molto; incessantemente mi davano a sperare gli amici; ma frattanto bisognava passare tutto il dopo pranzo, e una buona parte della sera, nello studio ad oggetto di non perdere l’istante fortunato che poteva giungere. Uno dei guadagni più grandi dell’avvocato veneziano sono i pareri: a un avvocato di prima classe un parere di soli tre quarti d’ora si paga due o tre zecchini, e prima di comparire avanti al giudice vi sono talvolta in una causa di conseguenza e complicata dodici, quindici, e venti pareri da dare. Se l’avvocato ha commissione di scrivere e di formare una petizione o una risposta, nel corso degli atti della lite, gli si consegnano sul fatto quattro, sei e dodici zecchini. Le difese non si fanno in iscritto a Venezia. L’avvocato perora a viva voce, e gli vien pagata l’arringa a proporzione dell’importanza della causa e del merito del difensore. Tuttavia questo ascende a moltissimo. Nella mia solitudine e nei momenti di noia, mi divertivo a far tra me stesso il calcolo, che un avvocato, che abbia credito e fortuna, può guadagnare, senza darsi gran briga, quaranta mila lire all’anno: e questo è molto per un paese, ove il vivere è la metà meno caro che a Parigi. — Mi viene ora a memoria un tratto singolare d’uno dei più famosi avvocati del mio tempo.