forense, ove la fatica e la probità conducono al tempio della fortuna. Mentre stavo là solo facendo castelli in aria, vedo avvicinarsi a me una donna di circa trent’anni, non sgradevole di figura, bianca, tonda e grassa, con naso schiacciato ed occhi tristi, con molt’oro al collo, agli orecchi, alle braccia, alle dita, ed in un arnese, che annunziava essere ella una donna di comune sfera, ma in sufficiente comodità. Mi si appressa e mi saluta: — Signore, buon giorno. — Buon giorno, signora. — Mi permettete che io vi faccia le mie congratulazioni? — Di che cosa? — Del vostro ingresso nel Foro; vi ho veduto nel cortile, quando facevate i vostri salamelec. Per bacco! Signore, voi siete molto bene pettinato! — Non è egli vero? Non son io un bel ragazzo? — La pettinatura però non vi giova niente: il signor Goldoni fa sempre la sua figura. — Voi dunque, o signora, mi conoscete? — Non vi vidi io quattr’anni sono nel paese dei curiali in lunga parrucca e mantello? — È vero, avete ragione, ero allora in casa del procuratore. — Così è: in casa del signor Indric. — Conoscete dunque anche mio zio? — Io, in questo paese, cominciando dal doge, conosco fino all’ultimo copista della corte. — Siete voi maritata? — No. — Siete vedova? — No. — Oh! non ardisco domandarvi di più. — Meglio. — Avete qualche impiego? — No. — Alla vostr’aria... voi mi sembrate donna di garbo. — Tale sono realmente. — Avete dunque delle rendite? — Niente affatto. — Ma voi siete bene vestita; come fate dunque? — Io sono figlia del palazzo, e il palazzo mi mantiene. — Oh questa sì ch’è singolare! siete figlia del palazzo, voi dite? — Sì, signore; mio padre ci era impiegato. — Che cosa ci faceva egli? — Stava in orecchi alle porte, e andava poi a portar le buone nuove a quelli che aspettavano grazie, sentenze o giudizi favorevoli, aveva buone gambe, ed arrivava sempre il primo. Mia madre poi era sempre qui con me. Essa non era già orgogliosa, riceveva la sua mancia, e s’incaricava di alcune commissioni. Sono nata e cresciuta in queste sale dorate, ed io pure, come voi vedete, sulla mia persona ho dell’oro. — La vostra istoria è singolarissima. Voi dunque seguitate le tracce di vostra madre? — No, signore, fo un’altra cosa. — Ciò è? — Sollecito i processi. — Sollecitate i processi? Non intendo. — Sono conosciuta come Barabba; si sa benissimo, che tutti gli avvocati e tutti i procuratori sono miei amici, e parecchie persone s’indirizzano a me, perchè procuri loro consigli e difensori. Quelli che ricorrono a me ordinariamente non son ricchi, ed io vado intorno a novizi o a sfaccendati, che altro non chiedono se non se lavoro per farsi conoscere. Sapete voi, o signore, che quantunque mi vediate così, io ho fatto la fortuna d’una buona dozzina dei più famosi avvocati della curia? Su via, coraggio, signore, se voi volete, farò ancor la vostra. — Io mi divertiva a sentirla, e siccome non arrivava il mio servitore, continuavo la conversazione. — Ebbene, signorina, avete voi presentemente fra mano qualche buon affare? — Sì, signore: io ne ho parecchi, anzi ne ho degli eccellenti. Ho una vedova che è incorsa nel sospetto di avere occultato il suo scimmiotto; un’altra che vorrebbe far valere una convenzione di matrimonio concertata dopo il fatto: ho fanciulle che fanno istanza di essere dotate; ho donne che vorrebbero litigare pel divorzio; ho figli di famiglia perseguitati dai loro creditori; come vedete, avete da scegliere. — Mia buona donna, le dissi, fino ad ora avete parlato voi, io vi ho lasciata dire; ora tocca a me a parlare. Sono giovine, sono per intraprendere la mia professione, e desidero occasioni per produrmi, e stare occupato;