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56 parte prima


vernatore, che in quel tempo era il nobile Francesco Bonfaldini, se la passava in ottima armonia col cancellier criminale, e conosceva molto il coadiutore. Alle corte, mi fece ricever per aggiunto a quest’ultimo. La durata dei governi veneti è determinata: si varian sempre in capo a sedici mesi. Quando entrai nel posto, n’eran già passati quattro; e poi, essendo io soprannumerario, non potevo pretendere veruna sorte di emolumento; godevo bensì tutte le delizie della società, buona tavola, molto giuoco, accademie, balli, festini. Era un impiego d’incanto; ma siccome non son cariche permanenti, ed è in arbitrio del governatore di darne la commissione a chi più gli pare, vi sono alcuni di questi cancellieri, che marciscono nell’inazione, e ve ne sono ancora di quelli, che passano avanti agli altri, e non hanno tempo di riposarsi. Il solo merito personale li fa ricercare, ma il più delle volte le protezioni la vincono. Ero prevenuto della necessità di assicurarmi una reputazione, e nella qualità di soprannumerario cercavo tutti i mezzi d’istruirmi e di rendermi utile. Il coadiutore non amava troppo il lavoro; io glielo risparmiava quanto mi era possibile, e in capo a qualche mese mi resi abile al par di lui. Non tardò molto ad accorgersene il cancelliere, e senza passare per il canale del suo coadiutore mi dava commissioni spinose, ed io ebbi la fortuna di contentarlo. La procedura criminale è una lezione importantissima per la cognizione dell’uomo. Il colpevole cerca di distruggere il suo delitto, o di diminuirne la bruttezza; egli è naturalmente avveduto, o lo diviene per timore; sa di dover fare con gente istruita, con gente del mestiere, ma pure non dispera di poterla ingannare. La legge ha prescritte ai criminalisti certe formule d’interrogazione, che bisogna seguitare, affinchè l’interrogatorio non sia fraudolento, e la debolezza e l’ignoranza non sia sorpresa. Pure bisogna un poco conoscere o procurar d’indovinare il carattere e l’interno dell’uomo che si deve esaminare, e, tenendo la via di mezzo tra il rigore e l’umanità, dee cercarsi lo svolgimento della verità senza violenza. Quello che più m’importava era il sunto del processo, e la relazione per il mio cancelliere, dal qual sunto e dalla qual relazione dipendono il più delle volte lo stato, l’onore e la vita di un uomo. I rei son difesi, la materia è discussa, ma la prima impressione vien dal rapporto. Guai per quelli che fanno il sommario dei processi senza i necessari lumi, e delle relazioni senza ponderazione! Nè mi state a dire, caro lettore, che io mi esalto: voi vedete, che quando cado in errore non me la risparmio; convien dunque che io mi compensi, quando sono contento di me. I sedici mesi della residenza del potestà eran prossimi al loro termine. Il nostro cancellier criminale era di già destinato per Feltre, e mi propose il posto di primo coadiutore, se volevo seguirlo: incantato da questa proposizione, presi il tempo conveniente per parlarne a mio padre, e il giorno appresso furono fissate le nostre convenzioni. Finalmente eccomi stabilito. Fin allora non avevo guardati gl’impieghi che da lontano; possedendone uno, ch’era di mio piacere e che mi conveniva, mi ero assolutamente proposto di non lasciarlo; ma l’uomo propone, e Dio dispone.

Alla partenza del nostro governatore di Chiozza ognuno si diede moto per fargli onore; i belli spiriti della città, se pure ve n’erano, fecero un’adunanza letteraria, nella quale fu celebrato in versi ed in prosa il pretore illustre, che li aveva governati. Cantai io pure tutte le glorie dell’eroe della festa, e particolarmente mi estesi sulle virtù e qualità personali della signora governatrice. L’uno e l’altra avevano molta bontà per me, ed a Bergamo, ove io li ho veduti in