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54 parte prima


vi si danno, non meno che per la speranza che avevo di risarcirvi le mie perdite.

Ma uno spettacolo orribile da me veduto pochi giorni dopo il mio arrivo, una tremenda ceremonia, una pompa di religiosa giurisdizione mi ferì l’animo sì fortemente, che rimase turbato il mio spirito, restarono agitati i miei sensi. Vidi nel mezzo di una folla di popolo un palco eretto all’altezza di cinque piedi, sopra il quale compariva un uomo a testa nuda con le mani legate. Era questi un abate di mia conoscenza, uomo di lettere coltissimo, celebre poeta, conosciutissimo, e che godeva somma stima in Italia: era l’abate J*** B*** V***. Un religioso teneva un libro in mano, un altro interrogava il paziente, e questi rispondeva con risentimento. Li spettatori picchiavano le mani, e lo incoraggiavano; crescevano intanto gl’ingiuriosi modi e i rimproveri, e l’uomo infamato fremeva. Non potei più reggere; partii pensoso, stordito, agitato, e la mia malinconia tornò subito ad assalirmi: rientro in casa, mi serro nella stanza immerso nelle riflessioni più cupe e umilianti per l’umanità. Grande Iddio! dicevo allora a me stesso: a quali cose noi siamo sottoposti in questa vita fugace che noi siamo astretti a trascinare! Ecco un uomo accusato di aver tenuti discorsi scandalosi con una donna, che formava la sua delizia. Chi lo ha denunziato? La donna medesima. Oh cielo! non basta l’esser disgraziato per esser punito? Riandai la serie di tutti gli avvenimenti accadutimi, e che avrebber potuto essermi dannosi: la malata di Chiozza, la cameriera, la friulese acqua cedrataia, la satira di Pavia, ed altre mancanze, delle quali avevo da rimproverarmi. Mentre ero nelle mie triste meditazioni, ecco il vecchio Bastia, che, avendo saputo il mio ritorno, viene a propormi di andare a recitare il rosario con la sua famiglia. Avendo bisogno di distrazione, accettai con piacere; dissi il rorasio con molta devozione, e vi trovai il mio contento.

Fu portato da cena, e si parlò dell’abate V***. Io dimostrai l’orrore che mi aveva fatto quell’apparecchio: il mio ospite, ch’era del partito della società secolare di questa giurisdizione, trovò la cerimonia magnifica ed esemplare. Gli domandai come lo spettacolo era andato a terminare; mi rispose, che l’orgoglioso era stato umiliato; che finalmente il pertinace aveva ceduto, ch’era stato obbligato a confessare ad alta voce tutti i delitti, a recitare una formula di ritrattazione che gli fu presentata, e che aveva avuta la condanna di sei anni di prigione. La vista terribile dell’uomo oppresso non mi lasciava mai; non vedevo più alcuno, andavo ogni giorno alla messa con Bastia, alla predica, alle orazioni della sera, agli uffizi con lui: era contentissimo di me, e cercava di fomentare in me quello spirito di religione, che compariva in tutte le mie azioni, e nei miei discorsi con racconti di visioni, miracoli e conversioni.

Il partito era preso; avevo con fermezza risoluto di entrar nell’ordine dei cappuccini. Scrissi a mio padre una lettera molto studiata, che non aveva però senso comune, e lo pregai ad accordarmi il permesso di rinunziare al mondo, e d’imbacuccarmi in un cappuccio. Mio padre, che non era balordo, si guardò dal contrariarmi, mi lusingò anzi molto, e parve contento dell’inspirazione che gli accennavo: mi pregò soltanto di andare da lui, ricevuta appena la sua lettera, promettendomi, che tanto egli come mia madre nulla più gradivano, che di soddisfarmi. In vista di questa risposta, io mi disposi alla partenza. Bastia che non doveva in quel giorno condur la barca a Venezia, mi raccomandò al suo compagno ch’era per partire. Presi congedo dalla devota famiglia, mi raccomandai molto