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capitolo xviii | 53 |
Al farsi della notte si accendono due lampioni che illuminavano da per tutto; quand’ecco il corriere che comparisce in mezzo a noi colla corona in mano, e ci prega e ci esorta garbatissimamente a recitare in sua compagnia una terza parte del rosario e le litanie della Madonna. Ci prestammo quasi tutti alla religiosa insinuazione del buon uomo Bastia, e ci distribuimmo da due lati per spartirci i Pater ed Ave che si recitavano con molta devozione. In un canto della barca vi erano tre de’ nostri compagni di viaggio, che col cappello in testa sconciamente ridevano, ci contraffacevano, e si burlavano di noi. Accortosene Bastia, pregò questi signori ad avere almeno convenienza non volendo aver devozione. I tre incogniti gli ridono sul muso, e Bastia soffre, nè fa più parole, non sapendo con chi l’avesse da fare: ma un marinaro, che li aveva riconosciuti, dice al corriere che quelli erano tre Ebrei. Bastia monta in furia, e va gridando come un indemoniato: Come! voi siete Ebrei, e a desinare avete mangiato del porco? — A questa uscita inaspettata ciascuno incomincia a ridere, gli Ebrei inclusive. Bastia séguita avanti, dicendo: Compiango quei disgraziati che non conoscono la nostra religione, ma disprezzo poi quelli che non ne osservano alcuna. Voi avete mangiato del porco, siete birbanti. — A tal discorso gli Ebrei in furia si scagliano addosso al conduttore; prendemmo allora il giusto partito di difenderlo, e forzammo gli Israeliti a starsene da loro. Interrotto il nostro rosario, fu rimesso al giorno dopo. Cenammo con molta allegria, ci coricammo sulle nostre materasse, e non ci fu nulla di straordinario nel resto del viaggio. Vicino a Modena mi domandò Bastia ove andavo ad alloggiare; per vero dire, non lo sapeva neppure io, dovendo cercarmi la dozzina il signor Zavarisi. Bastia allora mi pregò di andare a star con lui; sperava, avendo conoscenza col medesimo, che egli l’avrebbe approvato, come effettivamente fece mio cugino, onde andai a stare in casa di questo corriere che non correva. Era questa una casa di devoti. Il padre, il figlio, le ragazze, la nuora, i bambini avevan tutti la più gran devozione. Veramente non mi divertivo, ma siccome erano gente buona, che viveva con saviezza ed in pace, ero pienamente soddisfatto delle loro attenzioni: si rende infatti sempre stimabile chi adempie i doveri della umana società. Mio cugino Zavarisi, contentissimo di avermi vicino, mi presentò subito al rettore della università, e dopo mi condusse in casa di un celebre avvocato del paese, dal quale dovevo instruirmi nella pratica, e dove presi il mio posto nell’atto. Eravi in questo studio un nipote del celebre Muratori, il quale mi procurò la conoscenza di suo zio, uomo fondato in ogni genere di letteratura, che faceva tant’onore alla sua nazione ed al suo secolo, e che sarebbe stato cardinale, se avesse sostenuti meno ne’ suoi scritti gl’interessi della casa d’Este. Questo nuovo compagno mi fece vedere tutto ciò che vi era di più bello nella città. Il palazzo ducale, fra l’altre cose, che è della più gran bellezza e della più gran magnificenza, e quella collezione di pitture sì preziosa, ch’esisteva in Modena anche in quel tempo, e che il re di Polonia comprò al prezzo considerevole di cento mila zecchini. Ero curioso di vedere quella famosa secchia che fu il soggetto della Secchia Rapita del Tassoni. La vidi nel campanile della cattedrale, ove sta sospesa perpendicolarmente ad una catena di ferro. Mi divertii molto, e credei che il soggiorno di Modena fosse per convenirmi, a motivo della conversazione delle persone di lettere di cui abbonda, e della frequenza dei divertimenti teatrali che