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capitolo xviii 51


militare, e rende conto al Senato di tutto quello che può importare al governo. Andammo a far visita al provveditor generale, che mio padre aveva conosciuto a Venezia. Questo degno senatore ci ricevè con molta bontà: aveva veduto la mia quadragesima poetica, e mi fece le sue congratulazioni; ma, guardandomi con un amaro sogghigno, mi disse, che le prediche del padre Cataneo, da quello che appariva, mi avevano poco santificato, facendomi comprendere che egli era al fatto delle mie ultime imprudenze; nè questo era molto difficile, a motivo della vicinanza dei luoghi. Ne ebbi rossore, e mio padre che se ne accorse, me ne chiese dopo ragione. Risposi che non avevo capito nulla, ed egli non insistè più su tal proposito: restammo a cena in casa di sua eccellenza, e di lì partimmo il giorno appresso. Avvicinandoci al Tagliamento, che dovevamo ripassare, ci fu detto che questo torrente era furiosamente straripato, e che non era possibile traversarlo. Siccome non eravamo troppo lontani da Udine, mio padre pensò di andare ad aspettare tranquillamente in questa città, che le acque del torrente ritornate fossero al naturale loro stato. Udine mi faceva spavento, e vi trovavo mille difficoltà. Mio padre insisteva, ed io adduce va sempre nuove ragioni. Egli s’impazientiva; smontammo in un’osteria e vi si fece una refezione a guisa di pranzo; quivi combinando mio padre i discorsi del generale di Palma con quelli che io faceva per non ripassar per Udine, mi strinse a tal segno, che mi trovai obbligato a manifestargli più modestamente che io potei tutto ciò che mi era accaduto. Si divertì dell’avventura di Teresa, mi consigliò a ricavarne profitto per diffidare del carattere delle donne sospette; ma circa il caso dell’acquacedrataia, parlandomi più da amico che da padre, mi fece rilevare i miei errori, e mi fece piangere. Finalmente fummo per buona sorte avvisati che il Tagliamento era in istato di potersi guadare, onde fu da noi ripreso il viaggio che avevamo interrotto.


CAPITOLO XVIII.

Ritorno a Chiozza. — Partenza per Modena. — Orribile spettacolo. — Mie malinconie. — Mia guarigione a Venezia.

Arrivammo a Chiozza, e fummo ricevuti come una madre riceve un figlio a sè caro, e come una buona moglie accoglie il suo diletto consorte dopo una lunga assenza. Ero contentissimo di rivedere la virtuosa mia madre, per la quale avevo un tenero affetto. Dopo essere stato sedotto ed ingannato, avevo bisogno di riscuotere amore. È vero, che di specie assai diversa era quest’amore; ma nell’aspettativa di poter gustare le delizie di una passione onesta e gradevole, l’amor materno faceva la mia consolazione. Ci amavamo entrambi; ma qual differenza dall’amore di una madre per suo figlio da quello di un figlio per sua madre! I figli amano per gratitudine; le madri per impulso di natura, e l’amor proprio non ha la minima parte nel loro tenero affetto. Amano i frutti del loro coniugale amore, concepiti con soddisfazione, portati con pena nel seno, e messi al mondo con tanto tormento; hanno veduto crescerli di giorno in giorno, hanno goduto i primi tratti della loro innocenza, e si sono assuefatte ad averli sempre avanti agli occhi, ad amarli, a prenderne cura... Io sono perfin di parere, che questa ultima ragione prevalga a tutte le altre, e che una madre non avrebbe meno amore