Pagina:Goldoni - Memorie, Sonzogno, 1888.djvu/50

48 parte prima


respireremo miglior aria. — Ivi assisi sull’erba, essa vuole incominciare a parlarmi della sua padrona, e prorompere in nuove invettive. Io le tronco la parola; e con tono serio ed imponente: Non si tratta più, io le dissi, della signorina C***, ora non si tratta che di Teresa, ch’è un’indegna, e che mi ha ingannato. — A queste parole sembra sbalordita, e si sforza di piangere: le rammemoro alcuni tratti della sua malignità, ella nega tutto, e vanta la sua innocenza. Fo allora escire le tre persone che avevo nascoste: Teresa nel veder la crestaia, cessa di fare smorfie, e prende l’aria di sfacciataggine, dicendo ad alta voce: — Ah civetta, tu mi hai tradita! — Quindi indirizzando a me il suo discorso: — Sì, signore, ella mi disse arditamente, io vi ho ingannato, non ve lo nascondo. — A tali parole comincia ciascuno a ridere, ed io fremevo di rabbia. — Aspetta, scellerata, le dico allora, qui voglio fare il tuo processo verbale. — Chi scrisse la prima lettera che tu mi consegnasti? — Essa risponde ridendo: Io. — A chi parlai in istrada per più notti? — A me. — E lo scroscio di risa? — Veniva da me. — Fosti tu che chiudesti la finestra? — No; fu la mia padrona che si burlava di voi. — Tua padrona d’accordo teco? — Sì, poichè vi credea mio amante. — Io tuo amante! — Non ero forse conveniente per voi? — Sfacciata! E le mie gioie? — Le gode la mia padrona. — Come? — Essa le ha pagate. — A chi? — A me! — Ah ladra! — Avevo voglia di romperle la faccia: mi assistè la prudenza. Pago di averle tolta la maschera, mi rivolgo ai testimoni della sua indegnità, e dico ad essi: — Io l’abbandono a voi: sia ricolmata di rossore e di disprezzo: la sua padrona sarà informata del procedere di lei. Compita così la mia vendetta, parto soddisfatto.

CAPITOLO XVII.

Mio viaggio a Gorizia e a Wippak. — Piacevole divertimento campestre. — Corsa in Germania.

Non vidi più l’iniqua strega. Seppi bensì dalla crestaia ch’era stata licenziata dalla casa in cui era, e si credeva fosse partita dalla città. Per riparare al tempo perduto, feci conoscenza con una figlia di un acquacedrataio, con la quale incontrai assai meno difficoltà ma molto più pericolo. Toccai di volo questo secondo aneddoto friulese nella mia edizione del Pasquali, ed ho però creduto di doverne parlare, affinchè non si pensi, che io abbia fatti racconti a capriccio. Ma siccome il caso non merita troppo di occupare i miei lettori, passerò sotto silenzio ogni particolarità estranea, e dirò solamente, che corsi i più gran rischi, che mi si voleva ingannare in una maniera molto più seria, e che ritornando in me stesso me ne sbrogliai ben presto per andare ad unirmi con mio padre. Era alloggiato a Gorizia in casa dell’illustre suo malato, il conte Lantieri, luogotenente generale degli eserciti dell’Imperator Carlo VI, ed inspettore delle truppe austriache nella Carniola e nel Friuli tedesco. Fui benissimo accolto da quell’amabile signore, che era la delizia del suo paese. A Gorizia non facemmo lunga permanenza, ma passammo di lì a poco a Wippak, borgo considerabilissimo nella Carniola, alla sorgente di un fiume da cui prende il nome, feudo della casa Lantieri. Vi passammo quattro mesi col maggior diletto del mondo. In quel paese i signori si fanno visita in famiglia; genitori, figli, maestri, persone di servizio, cavalli, tutto si