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capitolo xvi 47

pata: la sollecito a parlarmi... a dirmi... ed ella mi prega di nuovo di calmarmi, e di ascoltarla, — Ahimè! mio caro amico, ella disse, sono disgustatissima della mia padrona; dopo le attenzioni che voi avete avuto per essa, dopo avermi promesso, manca di parola, trova pretesti per non venir meco. — Come! io dissi interrompendola, ella trova pretesti? nè ci verrà? Si burla forse di me? — Uditemi sino al termine, riprese la furba; ne sono offesa quanto voi, e più di voi, poichè la figura che ella mi fa, è per me di tal conseguenza, che mi mette in desolazione. — Poneva nel suo discorso un calore ed una veemenza sì straordinaria, che la credei veramente penetrata di zelo per me, e procurava io stesso di calmarla. Cambiò realmente tono, e prendendo un’aria tenera e patetica, continuò dicendomi: — Udite, io voglio porvi davanti agli occhi tutti i tratti di perfidia di questo piccolo mostro, che ci ha ingannati. Sapeva l’ingrata, sì sapeva, che io aveva dell’inclinazione per voi. Mi rimproverò da principio una passione, che avevo nutrita in cuore, obbligandomi a sacrificare per lei le mie brame e le mie speranze, e m’incaricò di adoprarmi presso di voi in suo favore. Il mio stato, la mia docilità, il mio carattere m’impegnarono; feci degli sforzi, che mi sono costati sospiri e lacrime; e preparata come già ero di vedervi felice a mie spese, m’inganna, mi dichiara la sua indifferenza per voi e mi ordina di non parlarlene. — Gridai allora preso da collera: E le mie gioie? — Teresa grida ancor più di me: — Le tien chiuse. — Confesso schiettamente, che i dieci zecchini che avevo spesi, davano molto impulso al mio risentimento, non meno che le notti che avevo passate, le speranze che avevo concepite ed il rossore di vedermi ingannato. Ero sul punto di dar nelle furie; ma la saggia e prudente Teresa mi prende per la mano e volgendo verso di me i suoi languidi sguardi: — Mio caro amico, mi disse, siamo stati entrambi ingannati: bisogna vendicarsi, e rendere all’ingrata il disprezzo di cui ella è meritevole: io son pronta a lasciarla in questo punto, e per poco che vogliate fare per me, io non avrò mai altra ambizione, che di nutrire per voi il più parziale affetto. — Tutto questo discorso mi sbalordì; non me l’aspettavo, ma cominciai ad aprire gli occhi. — Voi dunque mi amate, cara zitella mia; tranquillamente le dissi. — Sì, ella rispose abbracciandomi; io vi amo con tutto il cuore e son pronta a darvene le prove più convincenti. — Vi sono molto grato, io risposi; datemi dunque tempo di riflettere, e saprete speditamente la mia maniera di pensare. Dopo un secondo abbraccio ci lasciammo, prendendo ognuno diversa istrada.

Arrivato in città, vado subito in casa d’una crestaia che conoscevo, e ch’era quella della signorina C***. Mi ero imbattuto in qualche luogo di divertimento con quella giovine, avevo scherzato seco sul proposito della sua avventora, e mi pareva propriamente adatta a ciò che ne volevo fare: feci ad essa il racconto della mia storia dal principio alla fine, la pregai di sciogliere il nodo e le promisi uno zecchino se arrivava a scoprirmi la verità. Prese con piacere l’impegno, e vi riuscì a maraviglia, talchè dopo tre giorni mi pose al fatto di tutto con la maggior chiarezza e col miglior garbo che si potesse da me desiderare. Fatto questo, vidi Teresa, le diedi l’appuntamento in casa della lavandaia, vi andai di buon’ora, per arrivarvi il primo: condussi in una specie di cabriolet tre persone meco, e le nascosi dietro un canto dello stanzone, ove si facevano i bucati. Avevo concertato il mio affare con la padrona della casa, ed ero sicuro del fatto. Ecco che giunge Teresa, ed eccola di me contenta. Voleva salire: — No, no, le dissi, andiamo sotto il pergolato,