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46 | parte prima |
libera, ed io con facilità ribadivo. Si udivano i soliti scrosci di risa, ma la finestra non si chiudeva più. Un giorno nel quale stimolavo Teresa perchè mi procurasse un abboccamento diurno con la sua padrona, minacciandola di abbandonare tutto se non l’ottenevo: — State quieto, ella mi disse, vi penso al pari di voi; parlerò alla lavandaia di casa, che sta a Chiavris distante un mezzo miglio, ed è questo appunto il luogo ove spero di potervi rendere contento. Ma sentite, sentite, ella soggiunse, voi dovete conoscere le signorine; esse son capricciose; ve ne son poche, che siano capaci di un perfetto disinteresse, e la mia padrona non è delle più generose: se voi voleste farle un regaluccio, credo che quest’attenzione avvantaggerebbe molto il vostro affare. — Come, io dissi, ella accetterebbe un regalo?... — Non da voi, riprese la strega, ma se glielo presentassi io, ella non lo ricuserebbe... — E che cosa potrei io darle?... — Ieri... vedete, non più lontano di ieri, la padroncina mi dimostrò il più gran desiderio di avere un finimento di quelle gioie di Vienna colorite, che sono ora di moda, e che tutte le donne vogliono avere. — Dove si vendono? — Oh! non ce ne sono di belle in questo paese, bisognerebbe farle venire da Venezia: un finimento completo, croce, orecchini, collana e spilli. — Ma cara mia Teresa, avete voi sentita Messa? — Non ancora. — Andateci. — Come? ricusereste forse di obbligare una giovane amabile e graziosa, che voi amate, per la quale avete stima, e potreste un giorno possedere? — Flemma, flemma: v’intendo; avrò il finimento, e ve lo darò in proprie mani. — Ed io lo presenterò alla padroncina, e voi la vedrete ornata con le gioie del suo caro Goldoni. — Del suo caro Goldoni? Credete voi dunque, che io sia il caro della signorina? — Un poco lo siete, e lo sarete di più. — Quando avrò regalate le gioie? — Sì certamente. — Su via, la vostra padroncina le avrà. — Tanto meglio. — Teresa, buon giorno. — Addio, signore... datemi un abbraccio. — (Che il diavolo ti porti).
Vado a casa d’un orefice di mia conoscenza, e gliene do’ la commissione; la riceve, e in capo a quattro giorni giunge la cassetta. Che superbo finimento! costava però dieci zecchini senza il porto, e senza le spese della commissione. Vedo Teresa, le fo cenno; viene, prende la cassetta, e la porta seco; il giorno appresso, che era domenica, vado in chiesa, e mi si presenta subito all’occhio la signorina C*** guarnita delle mie gioie, che imitavano per eccellenza i rubini e gli smeraldi.
Ero contento come un re: ma intanto la signorina non mi aveva fatto l’occhio pio come avrei desiderato, non mi aveva dato alcun segno di soddisfazione, e gli abboccamenti notturni erano stati sospesi da qualche giorno a motivo di alcune ciarle del vicinato. Teresa non mancò di venire a trovarmi, e dirmi le più belle cose del mondo da parte della sua padrona; e siccome le feci comprendere che dovevo esigere qualche cosa di più, m’invitò ad essere a Chiavris il giovedì seguente in casa dell’indicata lavandaia, dove si riservava la signorina di darmi prove del suo affetto, e della sua riconoscenza. Bene, benissimo! a giovedì.
Il tempo mi sembrava molto lungo, e vi ruminavo giorno e notte. Qual prova di affetto dovevo io mai aspettarmi? Di vent’anni non mancava temerità. In somma viene il giorno, mi porto alla casa della lavandaia, e vi arrivo il primo. In capo ad una mezz’ora vedo Teresa, e la scorgo sola; fremo di sdegno, e la ricevo malissimo. Ella mi prega di pormi in calma, e mi fa salire in una soffitta, ove non vi era che un letto molto sudicio, ed una sedia di paglia strap-