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42 | parte prima |
nera madre. Ella aveva spirito e fermezza, e volgendosi verso il domenicano, che la stancava, — Mio Reverendo, gli disse, se mio figlio avesse fatta una bricconata, non lo avrei più guardato; ma è reo d’inconsiderazione, onde gli perdono. — Avrebbe vivamente desiderato il mio compagno di viaggio che mio padre fosse stato in Chiozza, perchè lo presentasse al priore di San Domenico. Gli disse adunque mia madre che aspettava suo marito nella giornata; ne parve contento il reverendo Padre, e senza complimenti s’invitò a pranzo da sè stesso.
Mentre eravamo a tavola, giunge mio padre; mi alzo e vado a chiudermi nella camera accanto: egli entra, e vede un gran cappuccio: Questi, dice allora mia madre, è un religioso forestiero, che ha dimandata ospitalità — E quest’altro coperto? questa sedia? — Non si potè fare di meno di parlar di me; mia madre incomincia a piangere, il religioso predica, nè omette in tale occasione la parabola del Figliuol prodigo: mio padre era buono, e mi amava sommamente. Alle corte, mi fanno venire, ed eccomi ribenedetto. Dopo pranzo mio padre accompagnò il domenicano al suo convento. Non lo si voleva ricevere, poichè tutti i frati debbono avere una permissione in scritto dei loro superiori, la quale chiamano obbedienza, che ad essi serve di recapito e di passaporto, e questo reverendo ne aveva uno, ma vecchio e lacero da non potersi leggere, ed il suo nome non era noto. Mio padre però, che aveva del credito, lo fece nulladimeno ricevere a condizione, che vi si sarebbe trattenuto poco tempo. Finiamo l’istoria di questo buon religioso. Tenne discorso con i miei genitori sopra una reliquia, che aveva incassata in un orologio di argento; li fece genuflettere, e mostrò loro una specie di cordoncino avvolto a un fil di ferro: era un frammento di cintolo di Maria Vergine, servito ancora al suo Divin Figliuolo: l’autenticità si ratificava, secondo luì, per mezzo di un miracolo costantissimo, ed era, che gettando questo cintolo in un braciere, il fuoco rispettava la reliquia, e il cordoncino si riaveva illeso; e tuffandolo nell’olio, questo diveniva miracoloso, e produceva guarigioni meravigliose. I miei genitori avrebbero avuto molta voglia di veder questo miracolo, ma non poteva ottenersi senza preparativi e religiose ceremonie, ed in presenza di un certo numero di persone devote per la più grande edificazione, e la maggior gloria di Dio. Furono fatti molti discorsi su tal proposito; e siccome mio padre era medico delle religiose di San Francesco, seppe così ben maneggiarsi presso di esse, che si determinarono in forza delle istruzioni del domenicano a permettere che si facesse il miracolo, fissando il giorno ed il luogo ove si sarebbe eseguita la cerimonia. Il reverendo Padre frattanto si fece dare una buona provvisione d’olio, e qualche denaro per dir delle messe, avendone bisogno per viaggio. Tutto fu eseguito, ma il giorno appresso il vescovo ed il podestà, informati di una religiosa funzione che era stata fatta senza permesso, e nella quale un frate forestiero aveva ardito vestir stola, adunar gente, e vantar miracoli, procederono entrambi alla verificazione dei fatti. Il miracoloso cintolo che resisteva al fuoco non era in sostanza che filo di ferro artificiosamente accomodato per inganno degli occhi; insomma le religiose furono solennemente sgridate, e il frate sparì.
Alcuni giorni dopo, mio padre ed io partimmo per il Friuli, e passammo per Porto Gruaro, ove mia madre aveva qualche capitale nell’uffizio della Comunità. Questa piccola città, che è limitrofa al Friuli, è la residenza del vescovo di Concordia, città antichissima,