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capitolo xiv 39


pitosamente. Avrebbe desiderato di poter salvarmi, scrisse però al senator Goldoni, e questi spedì lettere per il senatore Erba Odescalchi governatore di Pavia: si adoperarono in mio favore l’arcivescovo che mi aveva tonsurato, ed il marchese Ghislieri che mi aveva nominato: tutte le mie protezioni e tutti i loro passi furono inutili. Io doveva essere sacrificato, e, senza il privilegio del luogo ove io era, la Giustizia si sarebbe di me impadronita. In somma mi si annunziò l’esclusione dal collegio, e si aspettò che fosse sedata la burrasca per farmi partire senza pericolo.

Che orrore! che rimorsi, che pentimenti! Eclissate le mie speranze! sacrificato il mio stato! perduto il mio tempo: parenti, protezioni, amici, conoscenze, tutto doveva essere contro me; ero afflitto, desolato: stavo nella mia camera, non vedevo alcuno, alcuno non veniva a trovarmi: che doloroso stato! che disgraziata condizione!

CAPITOLO XIV

Viaggio malinconico. — Miei disegni andati a vuoto. — Incontro singolare.

Stavo nella mia solitudine oppresso dalla tristezza, circondato da oggetti che mi tormentavano senza posa, e pieno di disegni che si succedevano gli uni agli altri. Avevo sempre avanti gli occhi il torto che io aveva fatto a me stesso, e l’ingiustizia che avea commessa contro gli altri; e quest’ultima riflessione mi faceva una sensazione anche maggiore della sciagura che avevo meritata. Se dopo sessant’anni rimane ancora a Pavia qualche memoria della mia persona e della mia imprudenza, ne domando perdono a coloro che io avessi offesi, assicurandoli, che ne fui punito abbastanza, e credo espiato ormai il mio fallo. Mentr’ero riconcentrato nei miei rimorsi e nelle mie riflessioni, mi giunge una lettera di mio padre. Terribile aumento di cordoglio e di disperazione! Eccola:

«Vorrei, mio caro figlio, che quest’anno tu potessi passar le vacanze a Milano. Mi sono impegnato di andare a Udine nel Friuli veneziano per intraprendere una cura, che potrebbe riuscir lunga, nè so se nel tempo medesimo, o in appresso, io sia per essere obbligato a portarmi nel Friuli austriaco per curare altra persona che ha l’istessa malattia. Scriverò al signor marchese, rammemorandogli le generose esibizioni a noi fatte; procura però dal canto tuo di esser sempre meritevole delle buone grazie di lui. Tu mi avvisi di dover quanto prima sostener la tua tesi, cerca di cavartene con onore. Questo è il mezzo di piacere al tuo protettore, e di arrecare la maggior contentezza a tuo padre e a tua madre che ti amano di cuore ecc.».

Questa lettera terminò di colmare il mio avvilimento: come, io diceva a me stesso, come ardirai tu di comparire in faccia ai tuoi genitori, ricoperto di vergogna e del disprezzo universale? Paventavo a segno questo terribile momento, che fresco ancor di una mancanza, ne meditavo un’altra, che poteva compiere la mia rovina.

No, che non sarà possibile, che io mi esponga ai rimproveri tanto più dolorosi, quanto più meritati: no, che non mi presenterò alla irritata mia famiglia: Chiozza non mi rivedrà mai più, andrò in tutt’altro luogo; voglio andar vagando, per tentar fortuna, riparare il mio sbaglio, o perire. Sì, andrò a Roma: là forse vi ritroverò quel buon amico di mio padre, da cui ha ricevuto tanto bene,