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334 parte terza


rezzi, ma è che un luigi di più o di meno nella mia piccola borsa fa una piccola differenza, che mi cagiona o un piccolo piacere o un piccolo disgusto. Parlo di me medesimo; nessuno appropri a sè stesso quello che dico e quello che penso. L’uffizio più penoso per una padrona di casa è quello di combinare le partite in modo che l’amor proprio degli uni non offenda quello degli altri. Ma indipendentemente dai difetti dei diversi caratteri, che con ragione convien perdonare, nessuna cosa è più da temersi quanto gli effetti dell’antipatia che si manifesta al giuoco più che altrove. Che ad un giuocatore, per esempio, piaccia piuttosto di perdere con una bella donna che con me, questo è troppo naturale; ma che quest’istesso giuocatore se la prenda poi contro di me, più che con altri, oh questo sì che mi farebbe andare in collera, quando per altro fossi capace di sdegno! Insomma, ciò si vede accadere ogni giorno, benchè l’uomo prudente figuri sempre di non accorgersene. Premesso ciò, le padrone di casa debbono dunque studiare la simpatia e l’antipatia delle persone che tengono a conversazione; debbono conoscere l’indole dei loro giuocatori, e saperli ben appaiare. Domando perdono al bel sesso, che su tal proposito deve essere più istruito di me, ma ho anche un altro avvertimento da dare. Non bisogna che le padrone di casa siano le prime ad incominciar la partita, lasciando accomodar gli altri nella maniera che loro piace: ciò è avvenuto più d’una volta sotto i miei occhi, ed io medesimo poi sono stato testimone delle lagnanze di quelli che si son creduti mal collocati. La tombola è un giuoco comodissimo per evitare tutti questi inconvenienti, potendosi adunare all’istessa tavola moltissima gente. La signora che fa gli onori della partita, vi assiste parimente, restando ognuno contento; ma è questo, a parer mio, il giuoco più insipido e noioso che siasi mai immaginato. Approvo che in tutti i giuochi possa molto la sorte, ma quando ho in mano un mazzo di carte, fo almeno qualche cosa; ma alla tombola non fo nulla. Se vinco agli altri giuochi, posso almeno aver la compiacenza di avervi contribuito colle mie proprie combinazioni; e se perdo, nutro pure la speranza di avere evitati molti colpi sinistri, ai quali un altro sarebbe forse soggiaciuto; dimodochè il mio amor proprio rimane in qualche maniera soddisfatto: ma in codesto maledetto giuoco di palline io sono sempre e poi sempre la vittima. È stata anche immaginata la tombola Delfino, peggiore forse della prima, poichè a questa convien prima determinare i numeri; io ho avuto sempre il dispiacere di aver scelto male. Sento intorno a me vociare terni, quaderne, cinquine, mentre io non ho altro che estratti, e qualche ambo; divento giuocatore senza saperlo; me la prendo con quelli che vincono, perchè la loro vincita deve per necessità accrescere la mia perdita, onde il mio amor proprio ne resta offeso, non meno che l’interesse della mia borsa. A tutto ciò aggiungesi la noia; insomma, non può esservi regalo più sgradito per me, che quello di farmi l’onore d’offrirmi una cartella. Ne fo la confidenza al mio lettore, giacchè mi guarderei bene dal parlare così nelle conversazioni alle quali ho la sorte di essere ammesso; onde, se le amabili e rispettabili persone, che ho l’onore di trattare, getteranno per caso un’occhiata sulle presenti mie Memorie, spero che non mi negheranno un benigno perdono in riguardo almeno della mia sincerità.