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328 parte terza


dopo morte ai miei eredi, godevo, ciò non ostante, assai per quei Veneziani i quali hanno affari in Francia. Ho sempre riguardato i miei compatriotti amichevolmente, ed essi in mia casa sono sempre stati i ben venuti. Mi son trovato, è vero, più d’una volta ingannato, ma i cattivi non mi hanno mai potuto privare del piacere di rendermi utile: e spero che niun Italiano sia partito mal contento di me. Soddisfatissimo del mio soggiorno in Francia, amo molto conversare di tempo in tempo con gente della mia nazione, o con Francesi che posseggano la lingua italiana. Il luogo ove più frequentemente ne incontro, è in casa della signora Boccage. Non vi è infatti forestiero ragguardevole per qualità o per meriti, che, arrivato a Parigi, non procuri di fare a questa rispettabilissima donna la corte: in casa appunto di questa signora feci una scoperta della maggiore importanza e piacevolissima per me. Un giorno, che dovevo pranzarvi, la signora contessa Bianchetti, nipote della signora Boccage, mi presenta una signora, che avrei dovuto conoscere, ma che in veruna maniera riconosceva, e restai fuor di modo maravigliato sentendomi salutare in buonissimo veneziano da questa stessa persona, che fino a quel momento aveva parlato perfettamente il francese.

Era questa la moglie del signor della Borde, amministratore generale dei regi beni, e sorella del signor le Blond, che successe al padre nel consolato di Francia in Venezia. Avevo conosciuto questa signora nella sua prima gioventù, ed era la minore di tre sorelle chiamate le tre bellezze di Venezia. Dopo il dialetto toscano e veneziano, quello che mi diverte più d’ogni altro è il genovese. Iddio (dicono gl’Italiani) nell’assegnare a ciascheduna nazione il suo linguaggio pose in dimenticanza i Genovesi: essi dunque ne composero uno a loro capriccio, che risente ancora la confusione delle lingue della torre di Babele. Questo linguaggio è quello di mia moglie; io lo capisco, e lo parlo sufficientemente bene. Avevo anche avuto occasione altre volte di parlare frequentemente con un Genovese mio amico; allontanato da Parigi per alcuni suoi affari, se ho perduto il piacere di trattenermi con lui, mi è restato quello di pranzare spessissimo dalla sua moglie. Frequenta la casa di lei una brigatella graziosissima. Il signor Valmonte de Bomare, celebre naturalista, che non ricusa di istruire e di divertire nel tempo stesso i commensali, quando lo si interroga intorno alle vaste sue cognizioni. Il signor Coqueley de Chaussepierre, avvocato al parlamento, che adorna con le sue grazie e col suo brio i ragionamenti seri egualmente che i galanti: v’intervengono pure altre amabili non meno che rispettabili persone. A tavola si ragiona, si passano in rassegna le notizie del giorno, si parla di spettacoli, di recenti scoperte, di proposte, di avvenimenti. Ognuno, in somma, dice il suo parere, e se mai insorge qualche discussione la padrona di casa, piena di cognizioni e di discernimento, prende le parti della riconciliazione. Se le mie Memorie hanno la sorte di valicare i mari, il mio amico *** vedrà che io non mi sono scordato di lui; altro in sostanza non fo se non render giustizia alla verità; nulla essendovi di più caro per me dell’opportunità di parlare de’ miei amici che molto amo, che amerò costantemente, siano essi Italiani o Francesi. La nazione francese poi oggidì mi è cara al pari della mia propria, ed è un grande piacere per me, allorquando incontro dei Francesi che parlano l’italiano. Ne rammenterò alcuni, che, per quanto io valgo a giudicarne, lo parlano e lo scrivono meglio degli