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capitolo xi 31


Non era già lo stile libero nè l’intreccio scandaloso che mi facevano trovar buona questa composizione, anzi la sua lubricità mi ributtava. Vedevo da me stesso, che l’abuso di confessione era un delitto abominevole avanti a Dio e avanti gli uomini; ma era questa la prima produzione di carattere che cadevami sotto gli occhi, e n’ero rimasto incantato. Avrei desiderato che gli autori italiani avessero continuato dietro questa commedia a scriverne delle oneste e decenti, e che caratteri attinti dalla natura fossero subentrati agli intrighi romanzeschi. Era riservato a Molière l’onore di nobilitare e di render utile la scena comica, esponendo i vizi e le ridicolezze alla correzione ed al riso. Non conoscevo ancora queste grand’uomo, poichè non intendevo il francese; mi ero proposto di impararlo, e presi intanto l’abitudine d’osservare gli uomini da vicino, e di non trascurare gli originali.

Erano prossime al termine le vacanze, e bisognava partire. Dovendo andare a Modena un abate di nostra conoscenza, mio padre profittò dell’occasione, e mi fece prender quella strada, e tanto più volentieri, perchè in quella città mi si dovea somministrar danaro.

Imbarcammo, il mio compagno di viaggio ed io, col corriere di Modena; vi arrivammo in due giorni di tempo, e andammo ad alloggiare in casa di un fittaiuolo di mio padre, che dava a pigione stanze mobiliate. Vi era in questa casa una donna di servizio, nè vecchia nè giovine, nè bella nè brutta, che mi guardava con occhio amichevole, e si prendeva cura di me con attenzioni singolari: scherzavo seco, ed ella vi si prestava con buona grazia, e di tempo in tempo lasciava cadere qualche lacrima. Il giorno della mia partenza mi alzo di buon’ora per fare il mio baule; ed ecco Tognetta (questo era il nome della ragazza) che viene nella mia camera, e mi abbraccia senza altri preliminari. Io non era tanto libertino per trarne partito: la sfuggo, ella insiste, e vuol partir meco. — Con me? — Sì, mio caro amico, se no, mi getto dalla finestra. — Ma io vado in un calesse di posta. — Ebbene, saremo noi due soli. — E il mio servitore? — È fatto per andar dietro. — Il padrone e la padrona di casa cercano Tognetta da per tutto. Entrano, la trovano in un fiume di lacrime. — Che è stato? — Eh non è niente. — Io tiro a sbrigarmi: bisogna partire. Avevo destinato per Tognetta uno zecchino: ella piange, non so come fare. Stendo il braccio e le offro la moneta; la prende, la bacia, e tutta piangente se la mette in tasca.

CAPITOLO XI.

Viaggio per Pavia. — Buon incontro a Piacenza. — Colloquio col marchese Goldoni. — Secondo anno di collegio.

Avevo tanto che bastava per pagare la posta fino a Pavia; ma non avendo trovato in Modena il mio cugino Zavarisi, che aveva ordine di darmi qualche danaro, sarei rimasto sprovvisto in collegio dove i convittori hanno bisogno di un peculio per i loro piccoli piaceri.

Arrivo l’istesso giorno a Piacenza sul far della sera, e avendo una lettera di raccomandazione di mio padre per il consigliere Barilli, vado a trovarlo. Mi riceve pulitamente, mi esibisce di alloggiarmi in casa sua, ed io accetto come conveniva. Era però ammalato, ed aveva volontà di riposarsi; l’avea io pure; però ce-