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322 parte terza


dote a sua figlia; ma credete voi che per questo non avrà ella del danaro da prestarvi?

Mar. (ancora più maravigliato). A prestarmi? a me? A prestarmi?

Il Cavaliere, e detti.

Cav. (Ritorna per quella porta per dove era uscito. Accenna coll’azione la sua sorpresa ed il suo rammarico. Passa dietro al conte, senza esser da lui veduto, e fa cenno al marchese di non parlare.)

Con. (al marchese). Se voi volete, le parlerò.

Mar. (al cavaliere in maniera che il Conte crede che parli ad esso lui.) Sì, sì, ho capito.

Cav. (Entra nell’appartamento).

Con. Dirò dunque alla signora Araminta...

Mar. No, no. Non crediate che... no, vi dico, no.

Con. Sì, e no! signore, io non vi capisco.

Mar. Prestarmi!... a me?... Come?... Io sono, è vero... ma non sono poi... bene, bene, benissimo. Non sono poi...

Con. Signore, vi chiedo scusa. Ho degli affari. Convien ch’io esca di casa. Ecco là il vostro appartamento. — (da sè). Non vi è in tutto il mondo un uomo ridicolo come questo, (parte).

Mar. Venga il canchero... non sa quel che si dica (entra nell’appartamento).

Fine dell’atto terzo.

Alla prima scena dell’atto quarto il visconte si lagna dell’impegno contratto da Eleonora, e nella terza Casteldoro pure si lagna delle cattive maniere usategli dalla futura sua sposa e dalla madre di lei, onde gli vien desiderio di sciogliersi, giacchè ha veduto la signorina di Courbois, e ne è rimasto incantato; prova soltanto dispiacere dei centomila scudi della signora Araminta. Qui ha luogo una scena tra il marchese e Casteldoro, nella quale l’avaro fastoso fa pompa delle sue ricchezze, e si vanta di aver fatto un regalo alla sua sposa di centomila franchi di diamanti, il marchese ne resta sbalordito, e parte ripetendo più volte: centomila franchi in diamanti! bene, bene, benissimo.

Casteldoro per altro nutre la speranza di poter sposare la signorina di Courbois senza perdere i centomila scudi della signora Araminta; rende intesa di tutto la sorella, ed ecco le sue idee. Io farò in modo, egli dice, che la signora Araminta conceda al visconte la figlia unitamente ai centomila scudi, e che il marchese conceda a me nel tempo medesimo sua figlia con darmi in dote l’istessa somma; in questa maniera il padre appaga le brame del figlio, la signora la figliuola senza levarsi nulla di tasca, e tutti restano contenti. (Parte).

Dorimene, che aveva a petto suo fratello, non meno che il bene della sua amica, desidera vivamente che questo disegno, quantunque strano, riesca. Ma ecco Eleonora ed il visconte; la scena tra loro è piacevolissima, ma viene interrotta dalla signora Araminta, col pretesto ch’ella vada a parlare colla modista che l’aspetta. Eleonora esce con Dorimene. Restata sola col visconte, Araminta gli parla colla solita sua franchezza. Ella ben conosce la sua inclinazione per Eleonora, ed ha molta istima per lui; gli darebbe con piacere la figlia, giacchè l’impegno con Casteldoro non sarebbe di alcun impedimento. La difficoltà è che gli affari della casa di Courbois sono in pessimo stato, ed è già noto il