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capitolo xx 319


da me acquistato imprimeranno un carattere rispettabile nel sangue di vostra figlia.

Ara. Tutto al contrario. Vi avrei dato mia figlia più volentieri quando eravate il signor Anselmo Colombani, antico negoziante, piuttosto che ora che siete divenuto il conte di Casteldoro, gentiluomo novello.

Con. Ma, signora mia...

Ara. I vosti antichi hanno accumulato, e voi distruggete.

Con. Distruggo?... Io? Voi siete in errore, voi non mi conoscete.

Ara. Sì, sì, vi conosco. Scommetto che senza avere alcuna cognizione di diamanti, e senza consigliarvi con chi potrebbe istruirvi, voi sarete solennemente gabbato dal gioielliere.

Con. Oh circa a que’ diamanti...

Ara. Oh! circa a que’ diamanti... So quel che volete dirmi. Sono destinati per l’ornamento della contessa di Casteldoro. E che cos’è la signora contessa di Casteldoro? Mia figlia, signore, è stata allevata bene, comodamente, ma modestamente. Noi abbiamo sempre accordato tutto, e con abbondanza alla convenienza, alla decenza, e niente al fasto, niente alla vanità. L’ornamento di mia figlia è sempre stata la modestia, l’obbedienza, il rispetto; e son certa ch’ella non si scorderà mai l’educazione ch’io ho procurato di darle.

Con. Ma, signora... (un poco alterato).

Ara. (con calore). Ma, padron mio... (raddolcendosi un poco). Vi domando scusa. Mi riscaldo un poco troppo forse, ma vi vedo ingolfato in un eccesso di spese che mi fan tremare. Si tratta di mia figlia; le do centomila scudi di dote.

Con. (in un tuono un poco alto). Non ho io fondi bastanti per assicurarla?

Ara. Sì, sì, de’ fondi. I fondi si mangiano. Voi principalmente che avete la vanità di esser grande, magnifico, generoso.

Con. Ma vi replico, madama, voi non mi conoscete.

Ara. Eh! Se voi foste differente da quel che siete, aveva in idea di proporvi il più bel progetto del mondo. Grazie al cielo, ho venticinque mila lire di rendita per me sola. Mi sarei accomodata con voi; avrei vissuto con mia figliuola, e avremmo fatto di due famiglie una sola famiglia; ma con un uomo come voi, il ciel me ne guardi!

Con. (da sè). (Mi farebbe dar la testa nelle muraglie.) Ascoltatemi di grazia (ad Araminta). Voi mi prendete in isbaglio. Vi sono pochi al mondo che conoscano l’economia come io la conosco, e voi vedrete e toccherete con mano... (piano e con ansietà).

Ara. Non vedrò niente. Voi vorreste darmi ad intendere una cosa per l’altra, ma non ci riuscite. Circa a mia figlia... l’ho promessa... le parlerò... vedremo... ma non fate alcun capitale sopra di me. Non vorrei, per tutto l’oro del mondo, aver a fare con un uomo che ha le mani forate, che spende a rotta di collo, come voi fate (parte).

Con. Non avrei mai creduto di dover passare per un prodigo (parte).

Fine dell'atto secondo.

Vedremo il resto nel seguente capitolo.