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318 parte terza


sotto voce al gioielliere, lo prega di affidargli i diamanti per qualche giorno; il gioielliere acconsente, e se ne va. Casteldoro adunque presenta ad Eleonora lo scrignetto, essa lo ricusa; Araminta non può astenersi dal condannare la prodigalità del suo futuro genero, ma siccome i diamanti son già comprati, persuade la figlia ad accettare il dono del suo futuro sposo. Regalati i diamanti, Casteldoro prega Eleonora di comparire con i medesimi al sontuoso pranzo di quel giorno. Araminta trova ridicola quest’ostentazione, e l’uomo fastoso la trova necessaria per comparir ad un pranzo di trenta persone. Questa sontuosità la irrita maggiormente, perchè crede di aver a fare con un dissipatore, ed è in timore per sua figlia. Ecco nuovamente Frontino, che consegna al padrone una lettera. È scritta dal marchese di Courbois, che è per giungere in quel giorno a Parigi in compagnia del visconte suo figlio, e gli domanda da cena. Gradirebbe egli sommamente che il marchese pure si trovasse al suo banchetto, e prova dispiacere che il suo arrivo sia di sera. Partecipa alle dame l’arrivo del marchese e di suo figlio, e questi appunto è il giovine amante di Eleonora. Ella si turba, e parte con Dorimene; Araminta la segue, e torna un momento dopo. Ecco una scena che forse al lettore non dispiacerà di veder recata per intiero.

Araminta e Casteldoro.

Ara. Niente, niente, grazie al cielo, spero non sarà niente.

Con. Ho piacere che la signorina stia bene; ma conviene aver cura della sua salute. Ho mandato ad avvertire i convitati, e li ho pregati per questa sera.

Ara. E avrete trenta persone alla vostra cena?

Con. Così spero, signora.

Ara. Permettete ch’io parli a cuore aperto, e ch’io vi dica tutto quello ch’io penso.

Con. Anzi mi fate un piacere grandissimo.

Ara. Non è una follia manifesta il dar da pranzo o da cena a trenta persone, delle quali venti almeno si burleranno di voi?

Con. Si burleranno di me?

Ara. Sì, senza dubbio. Non crediate ch’io sia una femmina avara; grazie al cielo, non ho questo difetto, ma non posso soffrire che si getti il denaro male a proposito.

Con. Ma, signora mia, in un giorno come questo, in una tal circostanza...

Ara. Sono vostri parenti quelli che avete invitati?

Con. No, signora. Noi avremo della nobiltà, dei letterati, delle persone togate, infine una compagnia scelta, tutte persone di merito e di distinzione.

Ara. Male, malissimo: vanità, ostentazione, follia. Amico, voi non conoscete il valor del denaro.

Con. Io non conosco il valor del danaro? (con ammirazione).

Ara. No, non lo conoscete. Vostra sorella mi ha fatto credere che voi eravate economo, ed io l’ho creduto. Se avessi saputo la verità non avrei accordato mia figlia ad un uomo che getta il suo denaro come voi fate.

Con. Voi credete ch’io getti il mio denaro?

Ara. Oh! Me ne sono accorta quando ho saputo che avevate speso una somma considerevole per comprare un titolo che non rende che della vanità, e niente di benefizio reale.

Con. Come! Non vedete voi con piacere, che il titolo ed il rango