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capitolo xx 317


nista dalla classe delle persone divenute facoltose per guadagni, a fine evitare così il rischio d’offendere i grandi. Questa commedia pochissimo nota, e che molti avrebbero desiderato conoscere, fu soggetta a singolari peripezie. N’esporrò prima il soggetto, e parlerò degli aneddoti che la riguardano.

Il signor di Casteldoro, divenuto ricchissimo, aveva col variare di sua sorte variato anche nome. L’avarizia aveva contribuito alla sua ricchezza, e questa al suo fasto. Egli è giovine, egli può ammogliarsi, ma troppo lo sgomenta la spesa indispensabile al matrimonio. Avendo per altro comprato una carica che lo nobilitava, crede di aver male impiegato il suo danaro, quando non abbia successione; onde si determina di accasarsi, ed eccolo perplesso sulla scelta della sposa; contuttochè la nobiltà fomenti il suo orgoglio, la vince però l’interesse. Dorimene, sua sorella, prende l’assunto di trovargli un partito. Conoscendo ella la signora Araminta, che ha cento mila scudi da dare in dote a sua figlia, fa venire entrambe a Parigi, e le alloggia in casa sua al secondo piano nella medesima abitazione sua e del fratello. La sua mediazione è felice, poichè pare che le due parti vadano d’accordo, ma la singolarità del contratto forma l’azione principale della commedia. Apre la scena il signor di Casteldoro, fa osservazioni che mettono al fatto il pubblico del suo stato e dei suoi disegni, e chiama Frontino suo cameriere, suo agente, e uomo di sua fiducia. Trattasi di dare un pranzo; occorre far grande sfoggio di apparecchio, ma molta economia nei piatti: intanto fa chiamare Dorimene, e Frontino esce.

Il fratello e la sorella discorrono intorno al matrimonio; Dorimene ha sommamente caro di esser riuscita in quest’affare, contuttochè tema che Eleonora non sia per essere troppo contenta dello sposo. Casteldoro scherza su questo proposito, e fa conoscere che i centomila scudi gli stanno a cuore assai più che l’affetto della signorina; poi la informa del magnifico pranzo, e questa esce.

Entra Frontino, ed annunzia che è arrivato il sarto nella sua carrozza. L’equipaggio di costui spaventa Casteldoro, ma io avrò (egli dice fra sè) ricchi abiti, e tutti si rallegreranno con me: converrà nominare la persona che li ha fatti. Comparisce il sarto. Casteldoro fa l’ordinazione di quattro abiti di panno con ricami sfarzosissimi, ma posti in maniera da poterli staccare; e propone al sarto di restituirglieli nello spazio di otto giorni, pagandogli la somma convenuta. Quest’artiere, venuto in carrozza, sdegna la vile proposizione, onde l’avaro manda a chiamare il suo sartuccio ordinario, e così termina il primo atto.

Il secondo atto è cominciato da Eleonora e Dorimene, alla quale è riuscito di allontanare per poco l’altra dal fianco di sua madre affine di interrogarla sulla sua inclinazione. La giovine vorrebbe occultarsi, ma Dorimene la circuisce con tal’arte e destrezza, che finalmente Eleonora è forzata a confessare di avere il cuore già occupato. Giunge Araminta, la quale si lagna di sua figlia ch’è divenuta insopportabile per la sua malinconia, la rimprovera e le dà insegnamenti relativi al nuovo stato che è per abbracciare. Ecco pertanto il signor di Casteldoro con uno scrignetto in mano, seguito da un mercante di gioie; apre lo scrigno, mostra ad Araminta i diamanti che ha intenzione di acquistare, e le dimanda il suo consiglio. Ella se ne intende assai, avendo mercanteggiato anche in questo genere. Li trova bellissimi, stupendamente assortiti, ma giudica che il loro prezzo debba essere eccessivo, e lo consiglia a non fare la pazzia di comprarli. Il signor di Casteldoro allora parla