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capitolo xvii | 311 |
il mio Burbero benefico. Questo dotto straniero aveva in Parigi molti amici e ammiratori. Nel numero d’entrambi era il signor *** che lo amava, stimava e lo compiangeva nel tempo medesimo, conoscendo bene le angustie della sua vita, non meno che il suo ingegno. Questo signor*** offrì un giorno al letterato di Ginevra un appartamento ben mobiliato, bellissimo, comodissimo, prossimo al giardino delle Tuileries, e per non offendere la delicatezza dell’amico, gliel’offrì al prezzo medesimo che egli pagava alla locanda. Il Rousseau si accorse bene dell’intenzione di quest’uomo generoso, e ricusando bruscamente ogni esibizione, gridò ad alta voce che non voleva essere ingannato. Il signor*** che pure era filosofo, ma che, essendo Francese, sapeva unire la gentilezza alla filosofia, non ebbe a sdegno la ripulsa; conosceva troppo bene quell’uomo, e gli perdonava di buon animo ogni sua debolezza; onde non cessò di vederlo e salire tranquillamente a un quarto piano per trattenersi con lui.
Siccome aveva inteso parlare delle Confessioni di G. Giacomo aveva perciò desiderio di vederle, o interamente o in parte, e rammentandosi di aver nel suo portafogli alcuni Caratteri del secolo, da lui medesimo composti alla maniera di Teofrasto e del La Bruyère, propose all’amico la lettura reciproca di queste due opere. Fu dal Rousseau accettata la proposizione, col patto però che il signor*** avesse gradita una cena frugale alla locanda Plâtrière. A tale invito questi fece intendere che sarebbero stati con maggior comodo in casa sua: Non importa (rispose l’altro); ciò deve seguire in casa mia, o altrimenti non si leggerà; vi permetto al più di portare una bottiglia del vostro vino, giacchè in questa locanda me lo danno molto cattivo. A tutto si adatta il docile Francese: ma essendo per sua disgrazia troppo garbato e troppo cortese, manda al Rousseau una paniera di sei bottiglie di eccellente vino, ed altre sei di malaga perfetto. Una tale improvvisata cagionò al Ginevrino un pessimo umore; giunge il Francese, che se ne accorge e gliene chiede ragione. — Non è mai possibile, risponde l’uomo sdegnato, che tra noi due si bevano dodici bottiglie di vino, io dunque ne ho levata dalla vostra paniera una soltanto, e questa basta per una piccola refezione: rimandate perciò subito il restante, se volete cenare in mia casa. La minaccia non era da recare spavento, ma quello che importava sommamente al commensale era la promessa lettura. Per buona sorte aveva appunto seco il servitore, onde per il medesimo rimandò indietro la paniera. Il Rousseau allora fu contento, e incominciò a leggere il primo. Questo rinvio del vino fece loro perder tempo, e restò anche interrotta la lettura dalla signora Rousseau che aveva bisogno della tavola alla quale erano i due amici, per apparecchiare; si sarebbe potuto leggere anche senza tavola, ma la cena fu allestita nel momento, e questa consisteva in una pollastra ed in un’insalata. Finita la cena, tocca a leggere al signore***, ed egli legge un capitolo, che va a maraviglia ed è applaudito; ne legge un secondo: a questo il signor Rousseau si alza; ed in aria di persona inquieta e sommamente irritata, si mette a passeggiare per la stanza. Interrogato sul motivo della repentina sua collera: No, non si viene (egli risponde) in casa di gente dabbene per insultare. — Come! (ripigliò l’altro) e di che cosa vi lagnate mai? — Eh, non avete a fare con un balordo (soggiunse il filosofo): nel vostro scritto altro non faceste, che delineare con un colorito anche troppo caricato e con modi satirici il mio ritratto. Questa è un’azione empia e indegna. — Adagio (dice