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310 parte terza


articoli a giornalisti maligni? Siete in errore: io amo la musica per passione, copio eccellenti originali, ciò mi dà da vivere, ciò mi diverte, e questo è quanto basta per me. Ma voi, voi medesimo (proseguì sempre), che cosa andate facendo? Siete venuto a Parigi a lavorare pe’ comici italiani; costoro sono tanti infingardi: essi non si curano delle vostre commedie; eh via! andatevene, ritornate a casa vostra, so che siete desiderato, siete aspettato... — Signore (io gli risposi interrompendolo), avete ragione: io per la negligenza de’ miei comici avrei dovuto abbandonare Parigi, ma mi vi trattennero altre considerazioni. Ho di recente composto una commedia in francese... — Voi avete composto una commedia in francese? (riprese egli subito in aria di grande stupore) che cosa volete farne? — Per darla al teatro. — A quale? — Al francese. — E voi siete quello che mi rimproverate ch’io perdo il tempo: siete ben voi, che lo perdete, e senza frutto. — Ma la mia commedia è già accettata. — Possibile? Basta; non me ne maraviglio: i comici non hanno senso comune, ricevono e ricusano a capriccio; sta bene che il vostro lavoro sia stato ricevuto, ma non sarà rappresentato, e peggio per voi se mai lo fosse. — Ma, signore, come potete dar giudizio di un’opera, che non avete veduta? — Io conosco il gusto degli Italiani tanto bene quanto quello dei Francesi; havvi troppa distanza dall’uno all’altro, e con vostra permissione non è possibile cominciare nell’età vostra a scrivere e comporre in una lingua straniera. — Le vostre considerazioni, o signore, sono giustissime, non niego, ma per altro si possono superare benissimo le difficoltà che dite. Ho affidata la mia commedia a gente d’ingegno, a persone intelligenti che ne sembrano contente. — Eh, siete adulato, siete ingannato, ne porterete la pena. Fatemi un po’ vedere la vostra commedia; io son franco, sincero, e vi dirò la verità. —

Qui appunto volevo condurlo, non già per consultarlo, ma per vedere se dopo la lettura del mio lavoro avesse sempre persistito nella poca fiducia che mi dimostrava. Siccome il manoscritto era in mano del copista del Teatro francese, promisi al signor Rousseau di rimetterglielo subitochè mi fosse stato restituito; era di fatto mia intenzione di mantenergli la parola. Nel capitolo seguente si vedrà la ragione che me ne distolse.

CAPITOLO XVII.

Seguita il capitolo precedente. — Aneddoti che riguardano Gian Giacomo Rousseau. — Alcune considerazioni sopra questo soggetto.

Comparve, sono già tre anni, un libro intitolato Confessioni di G. Giacomo Rousseau, cittadino di Ginevra, le quali altro non sono che aneddoti riguardanti la vita di lui, e scritti da lui medesimo. In quest’opera non ha avuto per sè stesso il minimo riguardo, anzi ha cavato fuori delle singolarità che potrebbero fargli torto, quando la celebrità del suo nome non lo difendesse da ogni critica.

Mi è però nota un’avventura accadutagli negli ultimi anni della sua vita, e che non trovasi nelle sue Confessioni; o egli l’ha forse dimenticata, oppure non ha avuto tempo di collocarla con l’altre in questo libro, che è postumo. Benchè questo aneddoto non mi riguardi direttamente, contuttociò io ne fo qui menzione, perchè fu appunto la causa che m’impedì di comunicare al signor Rousseau