Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
capitolo xv | 307 |
avevano dato il lor giudizio con intelligenza; e se talvolta accettavano cattive commedie, ciò dipendeva da cause estranee che li inducevano ad operare contro il proprio convincimento.
CAPITOLO XVI.
- Osservazioni riguardanti il Bourru bienfaisant. — Colloquio con Gian Giacomo Rousseau sull’istesso soggetto.
Il mio Burbero benefico non poteva incontrare miglior fortuna di quella che incontrò, ed io ebbi veramente sorte nel trovare in natura un carattere nuovo per il teatro, un carattere che si presenta ovunque, e che nondimeno era sfuggito alle ricerche degli autori antichi e moderni. Ne sarà stata forse causa l’opinione, che un uomo burbero, siccome riesce tedioso alla civile società, sia per essere sgradevole anco sulla scena; e certamente, quando si voglia riguardare sotto questo aspetto, convien dire che abbian fatto benissimo a non valersene punto nelle loro opere; anzi me ne sarei astenuto io medesimo, se altre mire non mi avessero fatto sperare di trarne profitto. L’oggetto principale della mia commedia è la beneficenza; e la vivacità dell’uomo benefico somministra la parte comica, inseparabile nella commedia. Virtù dell’animo è la beneficenza; difetto di temperamento è il rozzo e scortese tratto; l’uno e l’altro però son benissimo conciliabili in un istesso soggetto; dimodochè secondo questi principii architettai il mio disegno; ed è la sensibilità, quelle che ha reso sopportabile il mio Burbero.
Alla sua prima rappresentazione io mi era nascosto, come aveva sempre fatto in Italia, dietro la tela che chiude la decorazione, dimanierachè nulla vedevo, ma udivo i miei attori, e gli applausi del pubblico. Me ne stavo passeggiando nel tempo dello spettacolo da un lato all’altro, accelerando il passo nelle scene più vivaci, ed allentandolo nei momenti di maggiore affetto e passione, contentissimo de’ miei attori, e facendo ancora io eco agli applausi del pubblico. Terminata la rappresentazione, sento battimani e grida senza fine. Mi si appressa il signor Dauberval, quegli appunto che doveva condurmi a Fontainebleau; al primo vederlo, credo che egli mi cerchi per farmi partire; ma niente affatto; mi dice anzi: — Signore, venite, bisogna farsi vedere. — Farmi vedere? a chi? — Al pubblico, che assolutamente vi domanda. — No, no certamente, amico caro; partiamo piuttosto, partiamo subito; non sarebbe possibile che io sostenessi... — Sopraggiungono i signori le Kain e Brizard, che mi prendono per le braccia, e mi tirano per forza sul palco scenico. Contuttochè avessi veduto molti altri autori sostenere con coraggio una simile cerimonia, io per altro non vi era punto assuefatto, non essendovi uso in Italia di congratularsi con i poeti in pubblico. Non potevo concepire come un uomo potesse tacitamente dire agli spettatori: Signori, eccomi qua, applauditemi. Dopo aver sostenuto adunque per alcuni minuti secondi quella condizione per me singolare ed incomoda, rientro fra le scene, attraverso le sale d’aspetto e vado a trovare la carrozza che mi attendeva, ed in questo passaggio incontro un’infinità di gente che veniva in cerca di me. Senza che io conoscessi alcuno, discendo con la persona che mi accompagnava, entro nella mia carrozza ove la moglie ed il nipote vi avean già preso posto. Piangevano entrambi di consolazione per il felice successo della mia commedia, e li faceva ridere come matti l’aned-