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capitolo xiii 301


cevolissima; e poi basta che si tratti di questo buon re, perchè in Francia abbia un buon esito e riscuota l’universale approvazione. Il signor Sedaine vi ha di fatto introdotta e più azione e maggior vivezza. Vidi Il Re e il Fittuario nella sua prima recita, e ne fui estremamente contento, onde provavo rincrescimento scorgendo questa composizione prossima al pericolo di cadere; tornò per altro a poco a poco a sostenersi, e le fu resa la ben degna giustizia, dimodo che ebbe in séguito un infinito numero di rappresentazioni, e si vede ancora con piacere. Bisogna anche dire, che il signor Sedarne fu benissimo secondato dal maestro di cappella. Non mi vanto di essere intelligente di musica, ma il mio orecchio è la mia guida. Trovo la musica del signor Monsigny espressiva, armoniosa, piacevole, ed i suoi motivi ed accompagnamenti mi rapiscono; e se avessi avuto disposizione per comporre qualche opera buffa in francese, questo compositore sarebbe stato assolutamente uno di quelli, ai quali io mi sarei indirizzato a preferenza d’ogni altro. Ma io mi sentiva inetto per questo genere di composizioni. Avevo fatte quaranta o cinquanta opere buffe per l’Italia, ne avevo fatte per l’Inghilterra, per la Germania, per il Portogallo; ma con tutto questo sentivo di non poterne fare una per Parigi. Vedevo talvolta al teatro di questa metropoli drammi seri o lugubri avere il titolo di commedia, ed in essi gli attori piangere cantando, e singhiozzare in cadenza; ed altre volte, rappresentazioni annunziate col titolo di piazzate, come effettivamente sarebbero tali senza il prestigio della musica e la graziosa azione degli attori. Ora vedevo andar alle stelle inezie, che nulla promettevano, ora andare a terra composizioni benissimo scritte, e per la sola ragione, che il soggetto non era tristo abbastanza per far piangere, o bastantemente allegro per far ridere. Quali sono dunque i precetti dell’opera buffa? quali sono le sue regole? Non ve n’è alcuna; tuttociò che si fa, si fa per pratica; io lo so per esperienza, onde mi si deve credere, experto crede Roberto. Mi si dirà forse che le opere buffe italiane non sono altro che farse, affatto immeritevoli di esser messe a confronto in Francia con i così detti poemi? Ebbene, tutti quelli che intendono l’italiano si diano dunque la pena di leggere i sei volumi contenenti la raccolta delle mie opere in questo genere, ed essi forse troveranno che il fondo e lo stile non sono da disprezzarsi. Non già che queste possano dirsi drammi ben composti, nè di fatto possono essere tali, poichè mai ebbi in animo di farne alcuno per passione, o di mia propria scelta, avendovi sempre lavorato per sola compiacenza, e in qualche occasione per guadagno. Quando si ha ingegno, bisogna trarne profitto: un pittore di storie non ricuserà di dipingere uno scimiotto, quando venga ben pagato. Malgrado questa specie d’avversione che io sento per l’opera buffa, confesso però che i comici italiani di Parigi mi han sempre fatto un piacere infinito. Io sono costretto a riconoscere la superiorità degli autori francesi in questo genere, come in tutti gli altri. Il signor Marmontel, il signor Laujon, il signor Favart, il signor Sedaine, il signor d’Hell hanno recato l’opera buffa a tutta quella perfezione di cui era suscettibile, come l’hanno ornata di eccellente musica i signori Philidor, Monsigny, Duni, Gretri, Martini e Doséides. Il signor Piccini poi ha ultimamente confermato la superiorità del suo ingegno musicando una composizione scritta dal figlio suo. Quantunque gli autori tutto giorno aumentino in numero, in zelo e in merito, ciò nonostante il signor Clairval è sempre lo stesso: è un autore immortale; la signora Drial è succeduta con tutte le grazie possibili alla