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296 | parte terza |
che meglio degli altri sono in istato di sostenerli. Toccò l’istessa sorte a un’altra mia composizione da me spedita nel medesimo paese e anno stesso, e fu questa Gli Amanti timidi, ossia L’imbroglio de’ due ritratti. Questa commedia di due atti, che al teatro Comico Italiano di Parigi incontrò moltissimo col titolo Il ritratto d’Arlecchino, non piacque punto in Venezia. Frattanto ecco quattro composizioni piaciute in Francia, e riuscite malissimo in Italia; eppure esse erano di quello stesso autore che per molto tempo aveva avuto la sorte di piacere al suo paese. Ma questo autore era in Francia, onde le opere di lui incominciavano già a sentire l’influenza di questo clima: l’indole dell’autore era l’istessa, ma lo stile ed il giro dell’espressione erano variati. Ero dispiacentissimo di non poter soddisfare il genio de’ miei compatriotti che continuavano sempre ad amarmi, nè desistevano di porre in scena le mie antiche composizioni e chiedermene delle nuove. Avevo anche notizia che dalla mia partenza in poi le compagnie comiche di Venezia erano andate soggette a cambiamenti, per cui era molto alterato quello zelo e metodo che sotto la mia vigilanza erasi conservato; e che perciò l’esito di una commedia di carattere, o a soggetto, non era più così sicuro come al tempo mio. Mi venne dunque il pensiero di spedire una commedia di genere diverso dal mio, ed infatti vi riuscii da non desiderarsi di più. Nel corso dei due anni del mio impegno con i comici italiani, avevo presentato alla loro assemblea una commedia da spettacolo intitolata: Il buono ed il cattivo Genio. Nulla si trovò da dire sopra questo soggetto morale, critico, e dilettevole nel tempo medesimo; ma si fece grande strepito contro le decorazioni ad esso indispensabili, le quali in Italia sarebbero costate cento scudi, e forse mille a Parigi. L’impresa dell’Opera buffa ne credeva inutile la spesa per gl’Italiani; e questi, che erano insieme con altri a parte del guadagno, non si dolevano del risparmio. Nell’almanacco degli spettacoli di Parigi all’articolo Il buono e il cattivo Genio, si legge: «commedia da spettacolo in cinque atti non rappresentata». Veramente non saprei dire per quale accidente una commedia neppur recitata si trovi su questo catalogo; potrebbe darsi che questa fosse una garbatezza del compilatore di quell’almanacco, che ha voluto annunziare, per farmi onore, tutte le ventitré commedie da me composte per gl’Italiani in due anni di tempo. Già sapevo benissimo, che l’arte del prestigio e dell’incantesimo aveva ripreso in Venezia il suo antico credito; onde fui di parere che Il buono e il cattivo Genio fosse un tema molto più adatto al gusto dell’Italia che della Francia. Con tutto questo stetti indeciso molto tempo prima di determinarmi a spedirlo; poichè mi rimordeva la coscienza di fomentare in tal maniera, il cattivo gusto in quel paese, ove avevo lavorato moltissimo all’oggetto di introdurvi e stabilirvi il buono: ma il meschino incontro delle mie ultime commedie mi aveva mortificato, e volendo io nuovamente piacere ai miei compatriotti, cedetti alla tentazione, e profittai dell’opportunità. Inoltre, questa commedia non dava nelle stravaganze delle antiche commedie con macchine, non avendo di maraviglioso che i due Genii, per il potere dei quali passavano istantaneamente gli attori da un regno all’altro; tutto il resto poi era naturalissimo. Eccone l’estratto molto succinto, bastante però a farne conoscere tutte le tracce e la condotta.
Aprono la scena Corallina ed Arlecchino, che essendosi di fresco sposati, sono nella massima felicità e contentezza. In quell’istante comparisce il Genio buono, per opera del quale lo zio di Corallina