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capitolo xi | 295 |
attraversiamo il Palazzo Reale, ed il signore vede due signorine passeggiare nei boschetti, onde gli vien voglia di seguitarle, e m’obbliga a non lasciarlo. Io ricuso, ma egli sempre le séguita da sè solo, dimodochè mi pianta là come un palo. Vo allora subito a pranzo dallo Svizzero, contentissimo, di essermene liberato. Non mancai di prender memoria di quest’originale sul mio libretto dei ricordi, non già col fine di rappresentarlo sul teatro, ma per l’unico piacere di riempir qualche vuoto in conversazione.
CAPITOLO XI.
- Conversazione il dì dopo con la signora del capitolo precedente. — Gli amori di Zelinda e Lindoro; La gelosia di Lindoro; Le inquietudini di Zelinda; Gli amanti timidi; Il buono e cattivo genio, commedia con macchine, di cinque atti. — Sua istoria; suo estratto; suo buon successo.
Il giorno seguente mandai a prendere le notizie della signora in casa della quale non fu possibile di pranzare; e siccome stava benissimo, mi fece perciò pregare di farle visita, come infatti andai l’istesso giorno. Dopo molte scuse di quanto era accaduto nel giorno avanti, si mostrò contentissima di essersi finalmente levata dattorno un uomo che le dispiaceva. Era costui un Provenziale, che pretendeva aver diritti sopra di lei, perchè nata in un feudo appartenente all’illustre famiglia di lui. Siccome questa signora era di una provincia meridionale della Francia, aveva perciò molta facilità per la pronunzia italiana, ed amava questa lingua passionatamente. Discorrendo, si venne a parlare del teatro della Commedia Italiana di Parigi; ella mostrava rincrescimento che io l’avessi lasciato, e rammentò alcune mie commedie a braccia che le erano piaciute sommamente. Mi rammentò fra l’altre, tre composizioni che di fatto avevano avuto un esito eccellente, ciò è: Gli amori d’Arlecchino e di Cammilla; La gelosia d’Arlecchino; e Le inquietudini di Cammilla, commedie che si succedevano l’una dopo l’altra, e che formavano una specie di romanzetto comico, distribuito in tre parti, di cui ciascuna comprendeva un soggetto isolato e completo. Questa signora, che aveva ingegno, gusto ed intelligenza, mi dimostrò che facevo male a perdere affatto di mira tre commedie che avrebbero potuto farmi molto onore ridotte a dialogo; l’ascoltai, la ringraziai e profittai dei suoi consigli. Mi venivano appunto in quel tempo domandate dall’Italia commedie, onde scrissi per disteso i tre mentovati abbozzi. Però siccome la compagnia, che doveva recitarle, era mancante di un Arlecchino del merito del Carlino e del Succhi, presi il partito di render più nobile il soggetto, sostituendo all’Arlecchino ed alla servetta due personaggi di mezzo ceto, ridotti per vari disgraziati accidenti a guadagnarsi il vivere servendo, e intitolai le sopracitate tre commedie Gli amori di Zelinda e Lindoro; La gelosia di Lindoro; Le inquietudini di Zelinda. Queste tre commedie non ebbero in Venezia un incontro strepitoso, ma furono accolte benissimo dal pubblico istruito, che restò più contento del lavoro che dell’esecuzione. Non avevo preventivamente veruna idea degli attori destinati a recitarle, ed era inoltre stata fatta la distribuzione delle parti nel modo che si era potuto, non essendovi nelle compagnie comiche d’Italia, come a Parigi, duplicati e triplicati i soggetti, affine di poter così adattare i caratteri a quelli