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294 parte terza


commedia... che io ho sulla punta della lingua: ella è... ella è... mi è fuggito dalla memoria il titolo... ma non importa. È in somma una commedia, che ha il Pantalone... l’Arlecchino, il Dottore, il Brighella. Oh! ora poi dovete indubitamente sapere che commedia sia.

Io. Veramente, se vossignoria non ha da favorirmi altri riscontri.

Signora. Signori, è in ordine; andiamo a pranzo. (Il signore dà di braccio alla signora, ma ella prende il mio).

Signore. E che? Voi dunque, signora, mi rifiutate? eppure io non vi adoro meno degli altri. (Entrati a tavola, il signore prende posto accanto alla Signora, e s’impossessa subito del cucchiaione).

Signore. Come, signora, voi date zuppa a un italiano?

Signora. Oh bella! e che cosa dunque, secondo voi, bisognava dargli?

Signore (scodellando la zuppa). Maccheroni, maccheroni: gl’Italiani non mangiano altro che maccheroni.

Signora. Ma voi siete singolare, signor della Clo...

Signore (alla Signora). Zitta...

Signora (un poco irata). Come sarebbe a dire, signore? Voi siete questa mattina molto incivile.

Signore. Zitta, dico, mia bella; zitta, mia cara, mia adorabile.

Io. Ma non sarebbe permesso di sapere il nome della persona con la quale ho l’onore di pranzare?

Signore (a me). Signor mio, non è possibile, io sono qui incognito.

Signora. Che cosa dite voi d’incognito, signor della Cloche? credete forse stando qui, di essere ad un albergo, ovvero in luogo di cattiva fama? In casa mia si viene onoratamente al pari che in qual si voglia altro luogo; e questa sarà assolutamente l’ultima volta che voi ci metterete piede. —

Per vero dire, la signora era oltre modo educata e sensitiva; ma per sua disgrazia aveva qualche cosa da rimproverarsi; onde, credutasi offesa dalla proposizione del giovine scimunito, prorompe in dirotto pianto, e le vien male. Accorre subito la cameriera, e la conduce in camera; il signore vuol seguirla, ma gli è chiuso l’uscio in faccia. In questo scompiglio io mi alzo da tavola; e siccome faceva freddo, vado a scaldarmi nella sala contigua. Il signore, punto anch’esso quanto la signora, passeggiava da un capo all’altro della stanza, andando di tempo in tempo a gettarsi sul sofà, sulle sedie, sugli sgabelletti. Che peccato, veder guastare colla sua lunga capigliatura quei mobili elegantissimi! Non sapendo a qual partito appigliarmi, nè avendo desinato, rivolgo il discorso al signore per sapeva solamente se egli contava di restare. — Voi altri Italiani (egli soggiunse) siete veramente felici; le donne del vostro paese vi sono schiave; ma qui siam noi che le guastiamo, e ci facciam torto coll’adularle e secondarle. — Signore (io gli risposi), in Italia le donne si rispettano in egual modo che in Francia, specialmente poi quando sono amabili come questa. — Ma... ella è in collera... ne sento rammarico, sono nella massima agitazione. — Eh! non è niente, non è niente (egli riprese); voi la vedrete ritornar da noi quanto prima. Ciò detto, va immediatamente all’uscio della camera, picchia, grida, l’uscio si apre, ed ecco fuori la cameriera. — La mia padrona (ella dice) è a letto; per oggi non vedrà più alcuno. — Indi chiude nuovamente l’uscio, ed urta la mano dell’uomo d’importanza che voleva entrare. Egli batte co’ piedi, e minaccia; poi rivoltosi a me: Andiamo, (mi disse) andiamo a pranzo in qualche luogo. — A dire il vero, ne avevo bisogno quanto lui. Usciamo adunque insieme,