piaciute, ed il lavoro stesso parevami insipido senza il diletto della immaginazione. Erano già venute da me parecchie persone per ottenere l’assenso di tradurre le mie commedie sotto i miei propri occhi, dietro i miei suggerimenti, e colla condizione di mettermi a parte del guadagno. Dal giorno del mio arrivo in Francia fino al presente, non è passato anno, che uno, due, o più traduttori non siano venuti a farmi l’istessa proposizione. Ne trovai persino uno che voleva il privilegio esclusivo di tradurmi, ed aveva pubblicato di recente alcune sue traduzioni. Procurai di distorli tutti in egual modo da un’impresa, della quale non conoscevano le difficoltà. Il Teatro di un incognito, volume in 12, tipografia Duchesne, 1765, contiene tre commedie. La prima ha per titolo La serva generosa, commedia di cinque atti in versi ad imitazione della Serva amorosa del Goldoni. La seconda, altro non è che una traduzione letterale della medesima commedia in prosa. La terza ed ultima, porta il titolo dei Malcontenti, che è appunto quel medesimo da me dato alla commedia italiana, della quale ho già reso conto nella seconda parte delle presenti Memorie. Non saprei peraltro dire, se un Francese potesse leggere queste traduzioni da capo a fondo. In fronte di questo volume vi è una lettera indirizzata ad una signora che ne sapeva più dell’autore incognito: essa infatti si divertì a tradurre il mio Avvocato Veneziano, e in questo difficile e penoso lavoro n’uscì assai meglio di tutti gli altri. È bensì vero, che non fece stampare se non i soli due primi atti della sua traduzione: dimodo che quest’opera così imperfetta non avrebbe certamente veduto la luce, se il marito, geloso della gloria di sua moglie, non l’avesse mandata alla stampa malgrado la contrarietà di lei. Ho veduto anche una traduzione assai ben fatta del mio Servo di due padroni: un giovine che possedeva sufficientemente la lingua italiana, aveva con molta esattezza tradotto il senso, ma non eravi però punto calore, non eravi punto vis comica, ed oltre a ciò tutte le lepidezze italiane diventavano in francese tante goffaggini. Nel 1783 comparve un libro intitolato Scelta delle migliori commedie del Teatro italiano moderno, tradotte in francese, con dissertazioni e note, stampato dal Morin all’insegna della Verità. Per quello che sembra, l’autore diffidò egli stesso della sua intrapresa, poichè in quest’opera, che doveva certamente essere molto voluminosa, tralasciò nel frontispizio l’intitolazione di Tomo primo. Oltre di ciò nel suo discorso preliminare getta la proposizione che gli autori drammatici italiani sono oggigiorno in stato di sostener la lotta con gli autori francesi, cosa difficilissima a provarsi. Presenta anche una dissertazione intorno alle commedie di un moderno autore italiano, che non ha fatto altro che copiare gli antichi; e finalmente incomincia la scelta delle sue traduzioni da una mia commedia. Benchè questa preferenza mi facesse molto onore, non ostante mi trovo ora costretto a dire quello che non risparmiai al traduttore medesimo, ciò è che egli aveva scelto male: di fatto, se dalla sopraccennata commedia si dovesse formare un giudizio di me, non sarebbe possibile concepirne un’idea vantaggiosa. Il traduttore pretende di collocarmi fra i rivali dei Francesi in Italia con La Donna di garbo; e questa appunto è una delle più deboli mie commedie, che nella sua sostanza molto risente del solito maraviglioso dell’antico Teatro italiano. Essa infatti è tra le mie composizioni una di quelle in cui trovasi meno di brio, meno di correzione, meno di verisimiglianza; una commedia insomma, che in Italia aveva avuto molto incontro, ma, che poi in sostanza altro non faceva che mordere leggermente il cattivo gusto, ed annunziare