Pagina:Goldoni - Memorie, Sonzogno, 1888.djvu/292

290 parte terza


di assicurarmi che in una maniera o nell’altra avrei avuto un giorno per scolari anche i loro nipoti, e che l’assegnamento che avevo ottenuto, altro non era che il principio delle beneficenze, che speravano farmi godere a suo tempo. Laonde, se non ho poi approfittato di questo favore, mia unicamente è la colpa e torno a ripetere che non ho saputo mai fare da cortigiano, sebbene fossi in corte. La prima volta che mi fu pagata la provvisione, mi furono dati al tesoro reale tremila seicento franchi soltanto, venendone ritenuti quattrocento per il ventesimo. Se avessi fatto qualche parola, sarei forse stato nel caso di godere l’esenzione di tale imposta; ma siccome stetti zitto, sono perciò rimasto lì, e poi sempre lì. È vero che il mio stato non era magnifico; ma bisogna esser giusti: che cosa avevo io mai fatto per meritarlo? Lasciai l’Italia per venirmene in Francia. Non convenendomi il Teatro italiano, altro non mi restava che tornarmene a casa. Ma che? io mi affeziono alla nazione francese; tre anni di un servizio dolce, decoroso, piacevole mi procurano la graziosa soddisfazione di restarvi: non doveva io dunque reputarmi felice? non doveva io esser contento? E poi le principesse medesime mi avean detto: Voi avrete per scolari i nostri nipoti. Tre erano i principi, due le principesse. Per il che, quante felici prospettive! quante ben fondate speranze! Non bastava ciò per la mia ambizione? perchè dunque avrei dovuto darmi briga per ottenere impieghi, cariche, commissioni, che per diritto convenivan più a un nazionale che a un forestiero? È stato sempre mio costume di non dimandar grazie nè per me nè per mio nipote, se non nel caso in cui potesse un Italiano esser preferibile ad un Francese. Fissato appena il mio assegnamento, cessarono le principesse di esercitarsi nella lingua italiana, e diedero ad altri studi le ore destinate alla lezione. Per tal ragione divenuto libero di andare dovunque, avevo desiderio di ristabilire il mio soggiorno in Parigi: ma mi divertivo troppo a Versailles; e questo appunto fu il motivo per cui mi vi trattenni ancora per qualche tempo. È voce quasi comune in Parigi che il soggiorno di Versailles sia molto tristo, che uno vi si annoi facilmente, e che le persone che vi concorrono, non sappiano che cosa fare. In quanto a me, posso provare il contrario, tenendo per certo, che coloro che non sono contenti del loro stato, debbano annoiarsi ovunque: e che all’opposto quelli che ne sono contenti vivano bene a Versailles, quanto altrove; come pure gli altri, che non han nulla da fare, trovan quivi di che occupare le loro mattinate utilmente nel castello, negli uffizi, nel parco, incontrando dappertutto oggetti degni d’osservazione e piaceri svariati. Il tempo nel quale si cercano i divertimenti della civile società, è sempre il dopo pranzo, e si trovano nella dovuta proporzione in Versailles nel modo stesso che in Parigi. Vi sono partite di giuoco, concerti, letteratura; con questa differenza, che a Parigi non si interviene talvolta alle ricreazioni che si cercano, a motivo della distanza dei luoghi; laddove a Versailles non restano mai fuori di mano, e i poveri pedoni non sono nella dura necessità di rimanere in casa propria, ovvero fiaccarsi le ossa in una carrozza. Dicesi inoltre che le dame di corte di null’altro parlano se non delle loro principesse, e, che gl’impiegati nei diversi uffizi d’altro non ragionano che dei loro compartimenti. Tutto questo può esser benissimo, Tractant fabrilia fabri, de tauris tractat arator. Ma quanto a me: mi ci son divertito molto, e, tranne gli spettacoli che solo in Parigi sono alla perfezione, per ogni altro titolo avrei forse fissato in Versailles il mio soggiorno. Provo