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capitolo ix | 289 |
che appariva, destinato a qualche persona di maggior considerazione di me. Credetti bene di non dover stare a far discorsi con l’uomo che mi fece una simile proposta; dimodochè lo rimandai, dicendogli che avevo bisogno di riposare. Nel corso della notte feci bensì le mie considerazioni, e decisi, che, nelle condizioni nelle quali trovavasi in quel tempo la corte, non era certamente convenienza che io facessi lagnanze, o domandassi di nuovo protezione. Presi dunque a pigione un appartamento in città e restituii la chiave dell’alloggio. Frattanto non si discorreva più dalle principesse di lingua italiana; contuttociò io non ardivo allontanarmi da Versailles. In questo stato di cose sempre più andavan male le mie finanze; avevo ricevuto una gratificazione di cento luigi imposta sul tesoro reale, ma per una sol volta; mi trovavo pertanto in bisogno di tutto, e non osavo domandar cosa alcuna.
Avevo occasione di vedere di tanto in tanto le auguste mie scolare, le quali continuavano sempre a vedermi con la solita bontà; ma non essendo io più occupato con loro, non sapevo che espediente prendere per far loro comprendere il mio stato, tanto più che le medesime erano troppo afflitte per darsi pensiero di me. Con estrema lentezza arrivavano i miei assegnamenti d’Italia; il mio amico Sciugliaga mi anticipò cento zecchini, con l’aiuto dei quali stavo pazientemente attendendo che il torbido della tempesta desse luogo alla serenità. Ma la tristezza progredì anche più oltre, e le disgrazie successero l’una dopo l’altra. La Delfina rimase vittima del suo dolore, e le fu data sepoltura nella tomba medesima del consorte. La morte del re di Polonia, padre della regina di Francia, avvenne poco tempo dopo; e quella dell’augusta sua figlia mise il colmo alla pubblica afflizione. In tali condizioni era egli possibile che io mi potessi appressare alle principesse, per far loro parola di me? e poi, quando anche avessi potuto, non avrei mai osato. Troppo era il rispetto con cui riguardavo il loro dolore; ma troppo grande era nel tempo stesso la fiducia che avevo nella loro bontà per soffrir tutto in silenzio. Sapevo perciò misurare i miei desiderii alle forze; di maniera che, eccettuati i cento zecchini, de’ quali andavo debitore ad un amico, null’altro dovevo a chicchessia. Finalmente cominciarono a dissiparsi le folte nubi; erano cessati i lutti, e la corte andava a poco a poco riprendendo la perduta serenità. Le principesse ebbero la bontà di farmi chiamare, e di regalarmi cento luigi in una scatoletta d’oro cesellata, e in quell’occasione si trattò di procurarmi uno stato. Elleno stesse chiesero per me il titolo e gli emolumenti di precettore di lingua italiana dei principi di Francia. Il ministro di Parigi e della corte fece alcune difficoltà, dicendo che questo sarebbe creare un nuovo impiego in corte e un nuovo aggravio allo Stato. In tale condizione, quantunque io avessi potuto chieder molte cose, non ostante non ne domandai alcuna, e continuai a servire, ad aspettare, a sperare. Finalmente, al termine di tre anni, le auguste mie protettrici mi procurarono un annuo assegnamento. Elleno stesse mandarono a chiamare il ministro. Non si tratta, gli dissero, di creare un nuovo impiego per una persona che debba prestar servizio, ma si tratta di ricompensare chi ha servito. Dopo il qual discorso fecero la domanda di sei mila franchi annui per me. Parve troppo al ministro; e, son persuaso, egli disse, che il signor Goldoni sarà contento di quattromila franchi di stipendio. Le principesse lo presero in parola, e restò nell’atto conclusa la cosa. Contento della mia sorte, andai subito a ringraziare le principesse, che trovai più contente anche di me. Ebbero esse la bontà