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capitolo iv | 273 |
è piacevole. La foresta offre punti di vista mirabili; ed il castello reale, molto vasto e molto comodo, è un monumento prezioso di architettura antica, ricchissimo e benissimo conservato. In questo castello di delizia come in quello di Compiègne si concludono per solito i grandi affari di stato; infatti a Fontainebleau fu firmato il trattato di pace fra l’Inghilterra e la Francia nell’anno 1762, di cui parlo attualmente. In questa villeggiatura gl’Italiani esposero Il figlio d’Arlecchino perduto e ritrovato. Questa commedia, che in Parigi aveva ottenuto molto incontro, non n’ebbe alcuno a Fontainebleau. Primieramente essa era a braccia, ed in secondo luogo i comici vi avevano mescolate alcune buffonate del Cocu imaginaire, cosa che disgustò infinitamente la corte, e per conseguenza la commedia andò a terra. Ecco il solito inconveniente delle commedie a soggetto: l’attore che recita all’improvviso parla talvolta senza senno, e guasta il più delle volte scene intiere, e rovina una composizione. Quanto a me, non avevo alcun affetto particolare per questa mia opera; anzi a me sembra di averne detto abbastanza nella prima parte di queste Memorie per provare il poco conto che ne facevo; solo mi rincresceva che non incontrasse alla corte la prima commedia mia che vi si dava. Questo spiacevole avvenimento sempre più mi convinceva della necessità di esporre commedie in dialogo. Ritornai adunque in Parigi con risoluta e ferma volontà sopra un tal punto; ma il male era che non doveva farla con i miei soliti comici d’Italia, poichè qua non ero più il padrone come era in patria.
CAPITOLO IV.
- Mio ritorno a Parigi. — Mie osservazioni e miei disegni. — Mia abitazione presso il Palazzo Reale. — L’amor paterno, mia prima commedia. — Breve estratto di questa. — Suo poco incontro. — Composizioni date al Teatro Italiano nel corso di due anni. — Nuove osservazioni sull’Opera Buffa. — Alcune parole sulla Commedia Francese.
Ritornato a Parigi, riguardai con altr’occhio questa immensa città, la sua popolazione, i suoi divertimenti, i suoi pericoli. Avuto tutto il tempo di ponderare, compresi che la confusione da me provatavi non era già un difetto morale o fisico del paese; onde schiettamente giudicai, che la curiosità e l’impazienza erano state causa del mio sbalordimento; e che in Parigi si poteva benissimo godere e divertirsi senza strapazzo, e senza sacrificare il suo tempo e la propria tranquillità. Furono troppe le conoscenze fatte tutto ad un tratto al mio arrivo; proposi di mantenermele, profittando però sobriamente; però destinai tutto il tempo della mattina al lavoro, ed il restante del giorno alla conversazione. Avevo preso a pigione un quartiere nei dintorni del Palazzo Reale; e il mio studio corrispondeva appunto sul giardino del medesimo, che sebbene allora non avesse la forma e la vaghezza che oggigiorno l’adornano, offeriva nulladimeno alla vista tali bellezze, di che molti rammentano con dispiacere la perdita. Per quanto fossi occupato, non era possibile che di tanto in tanto non dessi un’occhiata a quel passeggio delizioso, che ad ogni ora riuniva tanti oggetti differenti. Vedevo sotto le mie finestre le colazioni del caffè Foi, ove gente di ogni grado si radunava per riposarsi e rinfrescarsi. Mi stava dirimpetto quella famosa pianta di castagno, chiamata l’arbre de Cracovie,