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264 parte seconda


avvicinarmi con esso un poco più agli scrittori del buon secolo; riguardo poi alla versificazione, ho imitato quella dell’Ariosto nelle sue Commedie.

CAPITOLO XLVI.

Mia partenza da Venezia. — Mia malattia a Bologna. — Presentazione delle mie Opere alla corte di Parma ed a quella della Langravia di Armstadt. — Visita dei nostri parenti a Genova. — Mio imbarco col corriere di Francia. — Pericolo per mare. — Questione curiosa. — Mio sbarco a Nizza. — Passaggio del Varo. — Arrivo in Francia.

Dopo la mia ultima commedia, e i complimenti di congedo da me fatti al pubblico, ad altro non pensai se non ai preparativi della mia partenza. Cominciai dall’assestamento della famiglia. Mia madre era morta, e mia zia andò a convivere con i suoi parenti. Cedetti al fratello tutto ciò che avevamo di rendita, misi in convento la figlia di lui, e destinai il nipote a seguirmi in Francia. Era bensì necessario qualcuno in Venezia che avesse cura della mia nipote, di cui mi ero incaricato. Non v’era da contar sul suo genitore, perchè militare. Ebbe pertanto la compiacenza di accettarne in vece mia l’incarico un amico, e questo fu il signor Giovanni Cornet, fratello minore del signor Gabriello Cornet, ambedue negozianti veneti e originari di Francia. Non sto qui a far parola del merito di questa degna e rispettabile famiglia, poichè ella è nota pel suo credito in commercio, non meno che per la sua probità. Era uscito allora di torchio il secondo volume delle mie Opere, delle quali avevo già cominciato l’edizione in Venezia: il numero degli associati era grande, e non potevo tornare addietro. Somministrai dunque i materiali bastanti per la continuazione. Il signor conte Gasparo Gozzi s’incaricò della correzione delle stampe, e l’illustre senatore Niccolò Balbi mi accertò della sua protezione; e siccome il signor Pasquali era uno stampatore onesto e stimato, nulla perciò avevo da temere riguardo all’esecuzione. Insomma partii da Venezia con mia moglie e mio nipote al principio del mese di aprile dell’anno 1761. Arrivato a Bologna, subito mi ammalai; nulladimeno mi si fece fare per forza un’opera buffa. Essa risentiva della mia febbre; ma per buona sorte toccò a lei sola morire. Ristabilito in salute, ripresi tosto il viaggio e passai per Modena, ove rinnovai al mio notaro la carta di procura riguardante la cessione da me già fatta al fratello, e partii per Parma il giorno dopo. Mi trattenni in questa città otto giorni piacevolmente; e siccome avevo dedicata la nuova edizione del mio Teatro all’Infante don Filippo, ebbi perciò l’onore di presentarne al medesimo i due primi volumi, e baciai la mano alle loro Altezze Reali. Vidi in tale occasione per la prima volta l’Infante don Ferdinando, allora principe ereditario, ora duca regnante, che si degnò parlarmi, augurandomi il buon viaggio in Francia. — Siete (ei mi disse) molto fortunato, poichè tra poco vedrete il re mio nonno. — Dalla dolce affabilità di questo principe presagii il futuro bene de’ suoi sudditi, nè m’ingannai. L’Infante don Ferdinando infatti è la delizia de’ suoi popoli, e l’augusta arciduchessa consorte dà il compimento alla pubblica felicità, non meno che alla gloria del suo governo. In questa occasione appunto ritornai in amicizia, dopo tre anni di discordia, con l’abate Frugoni. Questo nuovo Petrarca