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capitolo xlv 263


finalmente moglie senza passione. Sfido qualunque comico a sostenere questo carattere con tanta intelligenza e verità, quanta ne espresse il signor marchese Albergati nell’esecuzione di esso. La Locanda della Posta, commedia di un solo atto ed in prosa: il soggetto di questa composizioncella è istorico; l’intreccio è molto comico, felicissimo lo svolgimento. Sono anche di parere che non sarebbe molto difficile a tradursi in francese. L’Avaro, commedia di un sol atto ed in prosa: questa è l’ultima delle cinque produzioni fatte per il mio Teatro di conversazione; e siccome il titolo esprime uno di quei caratteri generalmente più noti, e che sembrano essere stati esauriti dai gran maestri dell’arte, sono per questo a darne un ragguaglio un poco più esteso. Apre la scena don Ambrogio, facendo da solo a solo alcune considerazioni sul proprio stato. Ha di recente perduto il suo figlio unico; sente al cuore la voce della natura; ma siccome il mantenimento di questo figlio gli costava caro, gli riesce meno difficile il consolarsene. Si trova anco nell’impaccio di dover pensare alla nuora, che è tuttavia nella casa di lui; e riguarda questa spesa come insopportabile; vorrebbe disfarsene; ma siccome bisogna restituirle la dote, non può determinarvisi. Questa vedova è giovine, nè le mancano partiti. L’Avaro gli accetta tutti; ma venuto al proposito della dote, non ne va avanti veruno. Sostiene inoltre di aver più speso per la nuora di quello che abbia ricevuto dal contratto matrimoniale di lei; mostra a tutti la nota delle spese fatte per lei; la porta sempre addosso; la legge tre o quattro volte al giorno, la tiene la notte sotto il capezzale del suo letto. Un amante però, più accorto degli altri, offre a don Ambrogio di sposar sua nuora senza sborso di dote, purchè il suocero si obblighi a dargliela dopo la sua morte. L’avaro vi acconsente, ma a condizione che lo sposo pensi ad alimentarlo. L’amante trova la proposizione ridicola, ma siccome è innamorato, teme di perdere l’occasione di sposare la sua bella. Ha anche timore dell’uomo sordido perchè lo minaccia di una lite; onde accorda tutto, e così segue il matrimonio. Questa, a dir vero, è una commedia di poco momento, ed è questo un avaro di nuova specie, che non può stare al confronto degli altri; con tutto ciò mi riuscì d’infondervi e brio comico ed affetto quanto poteva bastare per renderlo passabile; onde riportò quel successo che poteva desiderarsi.

Fin ad ora ho reso conto delle commedie da me composte in Italia, e che sono state recitate prima della mia partenza. Ne resta tuttavia una non per anche rappresentata, e che si trova stampata nel decimo settimo volume dell’edizione del Pasquali, e nell’undicesimo di quella di Torino. Essa è di cinque atti ed in versi, ed ha per titolo La Pupilla, composizione tutta quanta di fantasia, lavorata sulla maniera degli antichi, e unicamente destinata per la stampa; affinchè nel mio Teatro vi fossero produzioni di ogni genere ed un’idea dello stile comico di tutti i tempi. Il soggetto della Pupilla è semplice. Non vi sono caratteri, non vi è complicazione nell’intreccio: ha una condotta naturale e senza artifizio. Procurai però di ravvivare la sterilità dell’antica commedia con scene equivoche, affine di aumentarne l’effetto e sostenere maggiormente la sospensione. Anche la catastrofe non è nuova; e consiste in un tutore innamorato della sua pupilla, che finalmente scuopre per l’unica sua figlia, e diviene, per questo, suocero di chi per l’avanti aveva riguardato come rivale. Lo stile, di cui mi son servito, non è il medesimo dell’altre mie commedie, avendo voluto