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capitolo xliv 259


tico capo di famiglia dà ricetto in sua causa ad un ministro, chiamato Desiderio, ch’è il favorito e l’uomo di sua intima confidenza. Costui pieno di scaltrezza e malizia, impadronitosi dell’animo del vecchio, domina nella famiglia al pari del padrone; contuttochè dall’uomo salvatico sia non meno sgridato e meno strapazzato degli altri, egli però ha l’arte di far così bene il sofferente, quanto sa far bene il ladro. Quest’impertinente ministro spinge tant’oltre la sua sfacciataggine, che, avendo un figlio chiamato Niccoletto, impegna Todero a concedere al medesimo Zannetta sua nipote senza renderne prima consapevoli i genitori di lei. A quest’ultimo tratto di autorità abusiva per parte del padrone, e d’impudenza per quella del ministro, Marcolina non può tacere; essa è madre, essa è donna, onde sveglia dalla sua indolenza il marito, impedisce il sacrifizio della propria figlia; e tanto fa, tanto si adopra, che giunge finalmente a scoprire al vecchio padrone tutte quante le ribalderie del suo favorito; lo fa scacciare di casa, impegna il marito a rendersi utile a suo padre, e colloca la figlia onorevolmente. Il vecchio Brontolone confessa allora che la sua nuora è perspicace, e brontolando l’abbraccia. Questa commedia piacque tanto, che si sostenne fino al chiudersi dell’autunno 1760. Per l’apertura poi del carnevale dell’anno 1761, tenevo da parte La Scozzese, commedia che non era di mia invenzione, ma che non mi fece meno onore.

La parte storica di questa commedia consiste in un aneddoto che a me parve piacevolissimo. Non potrei farla meglio conoscere che col darne qui un estratto ricavato dalla Prefazione posta in fronte a questa medesima composizione nella mia edizione del Paquali; esso adunque formerà il soggetto del capitolo seguente.

CAPITOLO XLIV.

Estratto della Prefazione della Scozzese. — Tomo XIII del mio Teatro, edizione del Pasquali

Chi si diverte a leggere le novità che giornalmente accadono, deve ricordarsi che nell’anno 1750 comparve in Italia, ed altrove, una commedia francese che aveva per titolo Il Caffè o La Scozzese. Nella Prefazione di questa commedia si legge che questa era opera del signor Hume, pastore della Chiesa di Edimburgo, capitale della Scozia; ciò nondimeno tutti sapevano che il signor di Voltaire ne era l’autore. Uno dei primi ad averla in Venezia fui io. L’illustre patrizio veneto Andrea Memo, uomo dotto, di finissimo gusto e versatissimo nella letteratura, trovò questa composizione bellissima, e me la inviò, credendo che io potessi valermene per il mio Teatro. La lessi dunque con attenzione; piacquemi infinitamente, e la trovai anche del genere delle composizioni teatrali che avevo adottato. L’amor proprio mi fece prendere alla medesima maggior effetto, vedendo che l’autore francese aveami fatto l’onore di nominarmi nel suo discorso preliminare. Ebbi insomma gran voglia di tradurre la Scozzese per farla conoscere e gustare alla mia nazione; ma nel rileggerla, facendo alcune osservazioni su l’oggetto propostomi, ben mi accorsi che su i teatri d’Italia, nell’attuale suo stato, non avrebbe avuto incontro. È vero, come appunto dice l’autor medesimo, che quest’opera è fatta per piacere in tutte le lingue, poichè vi si dipinge al vivo la natura che è