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capitolo xliii 257


devo di aver detto abbastanza su tal proposito: niente affatto: ecco una seconda lettera dell’istesso autore in data di Parigi: «Starò attendendo, o signore, le correzioni ed i cambiamenti che vi siete proposto di fare nella nuova edizione. Rispetto ai diversi dialetti italiani vivete pur traquillo; ho con me un servitore, che ha percorso tutta l’Italia, che li conosce tutti, ed è in grado di spiegarmene il valore: ne sarete contento». Questa proposizione mi dispiacque oltre modo: e credetti allora che l’autore francese si burlasse di me. Vado immediatamente in casa del signor conte Baschi, ambasciadore di Francia a Venezia; gli partecipo le due lettere del signor Poinsinet, e gli domando informazioni sul soggetto che mi scriveva. Ora non ho memoria precisa di ciò che S. E. mi disse relativamente al signor Poinsinet; ricordo bensì che mi fu da lui rimessa in quel medesimo istante una lettera giuntagli allora, unitamente ai dispacci della Corte. Conteneva una nuova sommamente piacevole per me, di cui renderò conto nel seguente capitolo.

CAPITOLO XLIII.

Contenuto della lettera di Parigi. — Son chiamato in quella città. — Ordini all’ambasciadore di Francia per farmi partire. — Mie osservazioni. — Son costretto a lasciare la patria. — Mie ultime commedie per Venezia. — Todero Brontolon, commedia veneziana di tre atti, in prosa. — Suo compendio. — Sua ottima riuscita.

La lettera rimessami dal signor ambasciadore di Francia veniva dal signor Zannuzzi, primo amoroso del Teatro italiano in Parigi. Quest’uomo stimabile per i suoi costumi non meno che per il suo ingegno, avea portato in Francia il manoscritto della mia commedia intitolata Il Figlio d’Arlecchino perduto e ritrovato. Presentata ai suoi compagni questa composizione e da loro trovata buona, fu recitata; piacque moltissimo, e confermava, a quanto diceva, quella reputazione che le mie opere godevano in Francia da gran tempo, e la mia persona vi era desiderata. In conseguenza di questo preliminare, il signore Zannuzzi era incaricato dai primi gentiluomini di Camera del Re e soprintendenti agli spettacoli di Sua Maestà di farmi la proposta di un impegno per due anni con onorevole provvisione. Il signor conte Baschi mi fece anche notare la premura del signor duca di Aumont, primo gentiluomo di camera, e in attual servizio, per sollecitare la mia partenza: aggiungendo, che se mai fosse nata qualche difficoltà, egli avrebbe spedite lettere formali, affine di chiedermi al Governo della Repubblica. Era gran tempo che desideravo di vedere Parigi, ed ero perciò tentato di rispondere subito affermativamente; ma avevo vari doveri da compire, e chiesi tempo per risolvere.

Ero pensionato dal duca di Parma, ed avevo in Venezia un impegno; bisognava adunque dimandare il permesso al principe, e combinare nel tempo istesso l’approvazione del nobile veneziano proprietario del teatro San Luca. L’una e l’altra cosa non mi parevano di difficile conseguimento; ma dall’altro canto portavo grande affetto alla mia patria, vi ero amato, applaudito, accarezzato, non vi si udiva più critica alcuna contro di me; io vi godeva una deliziosa tranquillità. In Francia non vi ero chiamato che per soli due anni; ma vedevo troppo bene che, spatriato una volta,