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256 | parte seconda |
qualità di coadiutore del cancelliere criminale; impiego che corrisponde a quello di sostituto del luogotenente criminale. Avevo dunque trattato con quella numerosa e tumultante popolazione di pescatori, di marinari e donnicciuole, che altro luogo non hanno di conversazione se non se la pubblica via. Conoscendo i loro costumi, il loro linguaggio, il loro brio e la loro malizia, mi trovavo in istato di dipingerli; e nella capitale, non più di venticinque miglia distante da questa città, si conoscevano perfettamente i miei originali; la commedia adunque ebbe un successo dei più splendidi, e con essa restò chiuso il carnevale.
Il giorno seguente delle Ceneri, mi ritrovai ad una di quelle cene di magro con le quali i nostri ghiotti di Venezia danno principio alle loro colazioni quadragesimali. A questo banchetto eravi tutto ciò che l’Adriatico e il Lago di Garda può mai somministrare in genere di pesce. Il discorso andò a cadere sopra gli spettacoli, nè si ebbe riguardo alcuno alla modestia dell’autore, che vi si trovava presente come uno dei commensali: annoiatissimo pertanto di sentir sempre risuonarmi all’orecchio i discorsi medesimi, per allontanar da me tutti i complimenti e gli elogi che mai non aveano fine, partecipai alla conversazione una nuova idea ch’io aveva concepita. I vini ed i liquori avevano già rallegrati gli animi; nulladimeno si fece silenzio, e si prestò orecchio al mio dire con sufficiente attenzione. Una nuova edizione del mio Teatro era il punto sopra del quale volevo trattenerli; procurai di esser breve, ma dissi per altro quanto bastar poteva per far ben capire la mia intenzione. Riscossi applauso, fui incoraggito; e nel momento stesso fu fatto portare carta e calamaio. La conversazione era composta di diciotto persone senza me; fu dunque subito aperto un foglio di soscrizione, e ciascuno coscrisse per dieci esemplari: feci adunque in una sola serata cent’ottanta firme.
Ecco l’origine della mia edizione del Pasquali. Di essa ho già bastantemente parlato nella Prefazione delle mie Memorie, onde non stancherò d’avvantaggio il lettore, avendo ora più piacere di partecipargli una lettera pervenutami in data di Ferney alcuni giorni dopo. Credereste voi forse che ella potesse essere del signor Voltaire? no, v’ingannate; ne ho ricevuto, è vero, parecchie da questo grand’uomo, da questo uomo unico, ma in quel tempo non avevo l’onore di essere in corrispondenza con lui. La lettera dunque, nella quale vi parlo, era sottoscritta Poinsinet. Io nol conosceva, ma egli dichiaravasi per autore. In essa mi teneva discorso di alcune composizioni da lui esposte all’Opera buffa di Parigi; mi diceva di ritrovarsi a Ferney in casa di un suo amico, da cui aveva avuto l’incarico di dirmi parecchie cose per parte sua, e mi pregava di dirigergli la risposta a Parigi. L’oggetto che l’avea indotto a scrivermi era l’idea da lui concepita di tradurre in francese tutto il mio Teatro Italiano. Per tal motivo chiedeva franchissimamente e senza troppe cerimonie i manoscritti delle mie commedie non ancora stampate, unitamente agli aneddoti che mi riguardavano. Da principio mi credei onorato che un autore francese volesse occuparsi de’ miei lavori; ma d’altra parte trovai le sue domande un po’ troppo precipitate; e non conoscendolo in modo alcuno, gli risposi pulitamente, ma in termini da distorlo dall’intrapresa. Infatti gli partecipavo la notizia che stavo per assumere una nuova edizione con correzioni e cangiamenti, e che oltre di questo le mie commedie essendo piene di diversi dialetti italiani, la traduzione del mio Teatro si rendeva per un forestiero quasi impossibile. Cre-