da Venezia dovesse destare la curiosità e far correre la gente fin dal centro della città; ma troppo eran noti a Roma i miei attori. Si alza finalmente il sipario: compariscono i personaggi, e recitano in quel modo stesso che avevano tenuto alle prove. Il pubblico perde la pazienza, vuole Pulcinella; e la rappresentazione va di male in peggio. Non posso più reggere, mi sentivo venir male. Dimando in grazia al signor conte di uscire; ed egli me lo concesse con molta gentilezza, offerendomi anche la sua carrozza. Lascio adunque il teatro Tordinona, e vado a trovar mia moglie che era a quello d’Aliberti. Prevedendo essa al par di me la caduta della mia commedia, era andata all’Opera in compagnia della figlia del mio ospite. Entro nel loro palchetto, e prima che apra bocca, entrambe s’accorgono alla mia fisonomia del mio dispiacere. — Consolatevi (mi disse ridendo la signorina), la cosa non va molto bene neppur qui: la musica non piace punto: non vi è un’aria, un recitativo, un rondò piacevole; il Buranello si è questa volta dimenticato di sè stesso stranamente. — Siccome essa pure cantava, era perciò in grado di giudicarne; in fatti si vedeva che tutti erano del suo parere. Le platee di Roma sono terribili, e gli abati sentenziano in una maniera decisiva e tumultuante; non vi sono guardie, non vi è buon ordine: i fischi, gli urli, le risate e le invettive suonano per ogni parte. Ma dall’altro canto, felice chi piace ai collarini! Mi trovai nel medesimo teatro, alla prima rappresentazione dell’opera di Ciccio De Maio. Gli applausi erano in egual modo clamorosi. Una parte degli spettatori escì alla fine della rappresentazione per ricondurre a casa il maestro in trionfo, e l’altra restò nel teatro, gridando sempre Viva Maio! Viva Maio! fino all’estinzione dell’ultimo lume. Che sarebbe avvenuto di me, se fossi restato a Tordinona fino al termine della mia commedia? Questa riflessione mi faceva tremare. Il giorno dopo vado dal conte ***, determinatissimo di non più espormi a tal pericolo. Per mia buona sorte avevo da fare con un uomo giusto e ragionevole; infatti conosceva bene egli medesimo l’impossibilità di trar partito da’ suoi comici, salvo che lasciandoli in libertà si facesse a modo loro: ed ecco in poche parole il partito al quale fummo obbligati di ricorrere. Fu fissato che i Napoletani esponessero pure i soliti loro abbozzi, con intermezzi in musica, dei quali io avessi messo insieme i soggetti sopra arie in parodia. In pochi giorni il nostro disegno ebbe esecuzione, poichè trovammo nelle botteghe de’ venditori di musica i migliori spartiti delle mie Opere Buffe. Roma è un seminario di cantanti; ne trovammo due buoni, e sei passabili, ed esponemmo per primo intermezzo Arcifanfano re dei pazzi, musica del Buranello. Questo piccolo spettacolo piacque molto, ed il teatro Tordinona si sostenne in modo, che il signor conte non vi fece gran perdita. Andai a terra a Tordinona, e fu per me un dispiacere profondissimo; ma venni indennizzato dagli attori del Capranica. Questo teatro che da alcuni anni si era del tutto dedicato alle mie opere, rappresentava in quel tempo la mia commedia Pamela. Una tale commedia, e per esser così ben recitata, e per il suo bell’incontro, sostenne da sè sola lo spettacolo dal principio dell’apertura del teatro fino al chiudersi di esso, cioè a dire, dal 26 dicembre fino al martedì grasso. Ogni volta che v’intervenivo, era per me un giorno di trionfo. Gli attori del Capranica che avevo ricolmati di elogi, perchè veramente n’erano degni, mi fecero pregare di volermi compiacere di scrivere una commedia per il loro teatro. Non avevano bisogno di una commedia fatta a posta per loro, essendo essi già pa-