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244 parte seconda


offrì un posto alla sua tavola, e una carrozza a mia disposizione; e sua eccellenza il cavalier Correro, ambasciatore di Venezia, mi fece le medesime esibizioni; io ne profittai, particolarmente della carrozza, la quale è in Roma necessaria nel modo istesso che a Parigi. Vedevo cardinali, principi, principesse, ministri esteri; e quando ero ricevuto, mi veniva il giorno dopo fatta la visita dagli staffieri, i quali si portavano da me per complimentarmi sul mio arrivo, onde conveniva a questi dar tre paoli, a quelli dieci, secondo il grado dei loro padroni, e tre zecchini a quelli del papa; questo è l’uso del paese; il prezzo è fatto, non vi è da stiracchiare. Nel fare le mie visite, non ometteva di osservare nel medesimo tempo i preziosi monumenti di quella città una volta capitale del mondo, ed ora sede dominante della religione cattolica.

Non farò menzione dei capilavori che son noti a tutto il mondo, mi limiterò soltanto a richiamare alla memoria l’effetto che produsse sul mio animo e sui miei sensi la veduta di San Pietro di Roma. Avevo cinquantadue anni la prima volta che vidi questo sacro edifizio. Dopo l’età della ragione fino a quel tempo ne avevo inteso parlare con entusiasmo: avevo percorso gl’istorici ed i viaggiatori che ne fanno esatte descrizioni e ragionati racconti, e però ero di parere che vedendolo io medesimo, la prevenzione avrebbe forse diminuito in me la maraviglia: ma che! tutto ciò che avevo inteso era al di sotto di quanto vedevo: tutto quello che da lontano parevami esagerato, mi si aggrandiva sotto gli occhi infinitamente. Io non sono intendente di architettura, nè andrò ora a studiare i termini d’arte per esprimere l’incanto che provai; ma son persuaso che ciò dipendeva da un’esattezza di proporzioni in tutta quell’immensa estensione.

Quanto da una parte gli oggetti di costruzione e d’ornamento destano maraviglia, altrettanto dall’altra il santuario di questa basilica eccita devozione. I corpi dei santi Pietro e Paolo sono nei sotterranei dell’altar maggiore, ed i Romani, che generalmente sono piuttosto devoti, non omettono di concorrervi con frequenza, in attestato della loro venerazione verso i principi degli apostoli. Il mio ospite, per esempio, non avrebbe lasciato per tutto l’oro del mondo di fare la sua orazione alla cattedrale: amante com’egli era dei divertimenti, tornava talvolta a casa alla mezzanotte, e ricordandosi di non aver fatto la visita ai santi suoi protettori, benchè restasse in un quartiere lontanissimo dalla chiesa di San Pietro, nulladimeno vi andava sempre, faceva la sua preghiera alla porta, e se ne ritornava contentissimo.

Bisogna che in questa occasione io faccia conoscere al mio lettore quest’uomo, che, a dir vero, aveva alcune singolarità, ma era di un cuore eccellente e d’una sincerità senza pari. Era l’abate *** corrispondente di parecchi vescovi della Germania riguardo agli affari della Dateria. Mi aveva allogato un quartierino di quattro stanze, con otto finestre di fronte alla più bella strada di Roma, detta il Corso, ove tutti si adunavano per vedere le corse dei barberi e le maschere nel carnevale.

L’abate *** aveva una moglie ed una figlia assai belle, non era ricco, ma si trattava bene, ed io stava a dozzina con lui. Ogni giorno veniva in tavola un piatto fatto di sua mano, nè mai lasciava di avvisare i commensali, che quello era un piatto pel signor avvocato Goldoni cucinato dal suo servo ***, e soggiungeva, che nessuno osasse toccarlo senza il permesso del signor avvocato. Dava talvolta accademie in casa sua; la signorina cantava a maraviglia.