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capitolo xxxvii | 243 |
più impacciato di me. — Troppo tardi, amico (egli mi disse), mi accorgo dell’inconveniente: procuriamo di rimediarvi, se è possibile. — Feci allora intendere agli attori napoletani e romani, che fino da qualche tempo le maschere non avevano più luogo nelle mie commedie. — Ebbene, ciò non vi dia fastidio, o signore (risposemi subito il celebre Pulcinella), noi finalmente non siamo figure di legno, abbiamo sufficientemente spirito e memoria: vediamo di che cosa si tratta. — Tiro fuori di tasca la commedia che avevo loro destinata, e propongo di farne lettura; tutti prendon posto, ed il leggo La vedova spiritosa. La composizione piace infinitamente al signor conte; ed i comici, i quali non osavano forse manifestare i loro pensieri, se ne stavano intieramente a tutto ciò che faceva chi era il padrone della scelta delle commedie. Viene pertanto immediatamente ordinata la copia delle parti, ed i comici se ne vanno. Ci mettiamo a tavola, ed io non posso astenermi dal manifestare al signor conte la paura che non avessimo ambedue preso uno sbaglio: egli col chiamarmi a Roma, ed io con esservi andato.
CAPITOLO XXXVII.
- Mia prima visita al Cardinal Nipote. — Mia presentazione al Santo Padre. — Mia balordaggine. — Generosa esibizione del cardinale Porto-Carrero e dell’ambasciatore di Venezia. — Alcune parole sulla chiesa di San Pietro di Roma. — Carattere del mio ospite. — Sue attenzioni a mio riguardo.
Mentre che i comici si preparavano per provare le respettive loro parti, l’unico mio pensiero fu di veder Roma e le persone alle quali ero raccomandato. Aveva una lettera del ministro di Parma per il cardinale Porto-Carrero ambasciatore di Spagna, ed una del principe Rezzonico, nipote del pontefice regnante, per il cardinale Carlo Rezzonico suo fratello.
Incominciai dal presentare quest’ultima al cardinal Padrone, che mi accolse con benignità somma, e con tutta la familiarità di cui ero onorato dai suoi illustri parenti di Venezia; inoltre non tardò molto a procurarmi l’udienza del Santo Padre, al quale venni pochi giorni dopo presentato solo solo, e nel suo gabinetto particolare; favore non tanto comune.
Questo pontefice veneziano, del quale avevo avuto l’onore di far conoscenza nella sua città episcopale di Padova, e la cui esaltazione era stata cantata dalla mia Musa, mi fece l’accoglienza più graziosa; mi trattenne per tre quarti d’ora continui, parlandomi sempre de’ suoi nipoti e delle sue nipotine, e dimostrando un estremo piacere per le nuove che ero in grado di comunicargli su di loro. Indi suonò il campanello ch’era sulla sua tavola, e questo fu il segno del mio congedo. Nell’andarmene facevo profonde riverenze, e ringraziamenti; ma il Santo Padre non pareva soddisfatto; agitava i piedi, le braccia, tossiva, mi guardava fisso, ma non dicevami cosa alcuna. Che balordaggine dal canto mio! Penetrato dall’onore che ricevevo, ed estatico per tal piacere, mi ero scordato di baciare il piede al successore di san Pietro. Finalmente ritorno in me stesso, e mi prostro; son ricolmato da Clemente decimo terzo di benedizioni, e parto mortificato della mia stolidezza, e nel tempo stesso edificato della indulgenza di lui. Continuai le mie visite per parecchi giorni. Il cardinale Porto-Ferrero mi