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22 | parte prima |
videro con piacere. Erano ritenuti in Chiozza per venti recite ancora, io aveva i miei biglietti d’ingresso, e mi ero proposto di profittarne col permesso della mia tenera madre. Era essa in molta amicizia coll’abate Gennari, canonico della cattedrale. Questo buono ecclestiastico era un poco rigorista. La Chiesa Romana non proscrive in Italia gli spettacoli, nè i comici sono scomunicati; ma l’abate Gennari sosteneva che le commedie che si davano allora erano pericolose per la gioventù. Non aveva forse il torto; onde mia madre mi proibì lo spettacolo. Bisognava obbedire: non andavo alla commedia, andavo bensì a trovare i comici, e la servetta più frequentemente che gli altri: ho avuto sempre da quel tempo in poi per le servette un gusto di preferenza.
In capo a sei giorni giunge mio padre. Io tremo, e mia madre mi nasconde nello stanzino della toeletta, incaricandosi del resto. Sale, ed essa gli va incontro, insieme con mia zia; ed ecco i consueti amplessi. Egli pare alquanto burbero e disgustato, nè ha la solita ilarità; si crede che possa essere stanco. Entrano in camera. Ecco le sue prime parole: Dov’è mio figlio? Mia madre risponde bonariamente: Nostro figlio minore è alla sua dozzina. No, no, replicò mio padre in collera: domando del maggiore; deve esser qui, voi me lo nascondete, fate male, questo è un impertinente che bisogna correggere. Mia madre sconcertata non sapeva che dire: pronunziò delle parole vaghe. Ma... come?... Egli la interrompe pestando i piedi. Sì, il signor Battaglini mi ha messo al fatto di tutto, mi ha scritto a Modena, ed io nel ripassarvi vi ho ritrovata la lettera. — Con aria afflitta mia madre lo prega di udirmi, prima di condannarmi. Egli sempre in collera torna a domandare ove io era. Non potei più ritenermi; apro l’invetriata, ma non ardisco avanzarmi. Ritiratevi, dice mio padre alla moglie ed alla sorella, lasciatemi solo con questo bel soggetto. Esse escono, ed io mi accosto tremante: Ah padre! — Come, signore! in qual modo siete voi qui? — Padre mio... vi sarà stato detto... — Sì, signore: m’è stato detto che, malgrado le rimostranze, i buoni consigli e a dispetto di chiunque, voi avete avuta l’insolenza di lasciar Rimini improvvisamente. — Ma, padre mio, che cosa facevo a Rimini? Era per me tempo perduto. — Come! tempo perduto? lo studio della filosofia tempo perduto? — Ah! la filosofia scolastica, i sillogismi, gli entimemi, i sofismi, nego, probo, concedo; padre mio, ve ne ricordate voi? (Non può astenersi di fare un piccolo movimento di labbra, che indica voglia di ridere. Ero abbastanza accorto per avvedermene, onde presi coraggio); Ah padre mio! ripresi, fatemi imparare la filosofia dell’uomo, la buona morale, la fisica sperimentale. — Su via: su via: come sei venuto qua? — Per mare. — Con chi? — Con una compagnia di comici. — Di comici? — Padre mio, son gente di garbo. — Come si chiama il direttore? — In scena è Florindo, e si chiama Florindo de’ Maccheroni. — Ah! ah! lo conosco, è un brav’uomo: recitava la parte di don Giovanni nel Convitato di Pietra. Si messe in testa di mangiare i maccheroni che appartenevano ad Arlecchino, ed ecco l’origine del suo cognome. — Padre mio, vi assicuro, che questa compagnia... — Dov’è andata? — È qui. — È qui? — Sì, mio padre. — Dà commedie qui? — Sì. — Anderò a vederla. — Ed io? — Tu briccone?... Come si chiama la prima amorosa? — Clarice. — Ah! ah! Clarice!... eccellente! brutta, ma molto spiritosa. — Padre mio... — Converrà dunque, che io vada a ringraziarli. — Ed io? — Disgraziato! — Vi chiedo perdono. — Andiamo, andiamo per questa volta... Entra mia madre, che aveva udito tutto, e si mostra conten-