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capitolo vi | 21 |
polizia: il giorno dopo, l’albergatore mi presenta uno staffiere del governatore, che mi prega con buonissima maniera a portarmi con tutto mio comodo al palazzo del governo. Malgrado il termine a vostro comodo, non mi trovavo punto accomodato in tal momento non potendo indovinare quello che si fosse voluto da me. Nell’uscire, andai subito a casa di mio cugino, e dopo la sistemazione dei nostri affari gli partecipai questa maniera d’invito, che non lasciava di tenermi inquieto, e gli domandai se conosceva il governatore di Pavia personalmente. Mi disse di sì che lo conosceva da lungo tempo, ch’era il marchese Goldoni-Vidoni, una delle buone fammiglie di Cremona, e senatore di Milano. A questo nome di Goldoni sbandii dall’animo ogni timore, e concepii delle idee lusinghiere; nè m’ingannai. Mi portai dopo pranzo dal governatore, che mi fece l’accoglienza più compita e graziosa. Il rapporto del mio cognome gli aveva risvegliata la voglia di conoscermi: ci trattenemmo a crocchio molto tempo; gli dissi, che ero originario di Modena, ed egli mi fece l’onore di farmi avvertire, che la città di Cremona non era molto distante da quella di Modena. Arrivò gente, e mi pregò ad essere a pranzo da lui il giorno dopo. Non mancai d’esservi, come tu puoi credere. Eravamo soli quattro a tavola, e si pranzò molto bene; gli altri due commensali partirono dopo il caffè, sicchè restammo soli il senatore ed io. Parlammo di parecchie cose, principalmente della mia famiglia, del mio stato, e della mia situazione; insomma, per abbreviare la lettera, mi promesse che avrebbe procurato di far qualche cosa per mio figlio maggiore.
A Pavia vi è una università celebre quanto quella di Padova, e vi sono parecchi collegi, dove si ricevono gratuitamente gli alunni; il signor marchese s’impegnò d’ottenere per me uno di tali posti nel collegio del Papa; e se Carlo si porterà bene, avrà premura di lui. Non scriver nulla, sopra tal proposito a tuo figlio; al mio arrivo lo farò tornare, e voglio riserbarmi il piacere di metterlo al fatto di tutto io medesimo. Non tarderò molto, lo spero».
Tutto il contenuto di questa lettera era fatto per lusingarmi, e per farmi concepir le speranze più estese. Compresi allora l’imprudenza del temerario mio passo, e temevo l’indignazione di mio padre, come pure che non diffidasse della mia condotta in una città più distante nella quale avrei potuto avere una maggiore libertà. Mia madre mi assicurò che avrebbe procurato di garantirmi dai rimproveri del mio genitore, e che prendeva ogni carico sopra di sè, tanto più che le pareva sincero il mio pentimento.
Ero abbastanza ragionevole per la mia età; ma ero soggetto a certe scappate irreflessive, e queste mi hanno fatto molto torto. Voi lo vedrete e mi compatirete forse qualche volta.
CAPITOLO VI.
- Ritorno di mio padre. — Dialogo fra mio padre e me. — Nuove occupazioni. — Tratto di giovinezza.
Mia madre voleva farmi vedere e presentarmi a tutti i suoi conoscenti: ma tutto il mio vestiaro consisteva in un vecchio sopratodos, che mi aveva fatto per mare da abito, da veste da camera e da coperta.
Fece venire un sarto, e appena fui in stato di comparire, i miei primi passi furono rivolti verso i miei compagni di viaggio, che mi