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226 parte seconda


Ber. Metta il suo cappello in capo.

Leo. Mi ha ridotto agli estremi.

Ber. Favorisca (mette il cappello in testa a Leonardo)

Leo. E se voi non mi prestate soccorso...

Ber. Che ora abbiamo? (a Fulgenzio).

Ful. Badate a lui se volete (a Bernardino).

Leo. Deh! signore zio amatissimo... (si cava il cappello).

Ber. Servo umilissimo (si cava la berretta).

Leo. Non mi voltate le spalle.

Ber. Oh! non farei questa mal’opera per tutto l’oro del mondo (colla berretta in mano).

Leo. L’unica mia debolezza è stata la troppo magnifica villeggiatura (sta col cappello in mano).

Ber. Con licenza. (si pone la berretta) Siete stati molti quest’anno? Avete avuto divertimento?

Leo. Tutte pazzie, signore; lo confesso, lo vedo, e me ne pento di tutto cuore.

Ber. È egli vero che vi fate sposo?

Leo. Così dovrebbe essere, e ottomila scudi di dote potrebbero ristorarmi. Ma se voi non mi liberate da qualche debito...

Ber. Sì, otto mila scudi sono un bel danaro.

Ful. La sposa è figliuola del signor Filippo Ganganelli.

Ber. Buono, lo conosco, è un galantuomo; è un buon villeggiante; uomo allegro, di buon umore. Il parentado è ottimo, me ne rallegro infinitamente.

Leo. Ma se non rimedio a una parte almeno delle mie disgrazie...

Ber. Vi prego di salutare il signor Filippo per parte mia.

Leo. Se non rimedio, signore, alle mie disgrazie...

Ber. E ditegli che me ne congratulo ancora con esso luì.

Leo. Signore voi non mi badate.

Ber. Sì, signore, sento che siete sposo, e me ne consolo.

Leo. E non mi volete soccorrere?

Ber. Come ha nome la sposa?

Leo. Ed avete cuore d’abbandonarmi?

Ber. Oh! che consolazione che io ho nel sentire che il mio signor nipote si fa sposo!

Leo. La ringrazio della sua affettata consolazione, e non dubiti che non verrò ad incomodarla mai più.

Ber. Servitore umilissimo.

Leo. (Non ve l’ho detto? Mi sento rodere: non lo posso soffrire) (a Fulgenzio e parte).

Ber. Riverisco il signor nipote.

Ful. Schiavo suo (a Bernardino con isdegno).

Ber. Buondì, il mio caro signor Fulgenzio.

Ful. Se sapevo così, non venivo ad incomodarvi.

Ber. Siete padrone di giorno, di notte, a tutte le ore.

Ful. Siete peggio d’un cane.

Ber. Bravo, bravo. Evviva il signor Fulgenzio.

Ful. (Lo scannerei colle mie proprie mani) (parte).

Ber. Pasquale.

Pas. Signore,

Ber. In tavola (parte).

Questa scena per sè medesima di nessuna importanza, produce nulladimeno in questa commedia un effetto mirabile. Fulgenzio, irritato dalle ripulse di Bernardino e dolente di avere esposto agli