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capitolo xxix 225


Ber. Eh! un uomo come lui? Batte un piè per terra, e saltano fuori i quattrini da tutte le parti.

Ful. (Or ora perdo la sofferenza. Me l’ha detto il signor Leonardo) Io vi dico che il vostro nipote è in rovina (sdegnato).

Ber. Si eh? Quando lo dite, sarà così (fingendo serietà).

Ful. Ma si potrebbe rimettere facilmente.

Ber. Benissimo, si rimetterà.

Ful. Però ha bisogno di voi.

Ber. Oh! questo poi non può essere.

Ful. E si raccomanda a voi.

Ber. Oh il signor marchesino! È impossibile.

Ful. È così, vi dico; si raccomanda alla vostra bontà, al vostro amore. E se non temessi che lo riceveste male, ve lo farei venire in persona a far un atto di sommissione e a domandarvi perdono.

Ber. Perdono? Di che mi vuol domandare perdono? Che cosa mi ha egli fatto da domandarmi perdono? Eh! mi burlate; io non merito queste attenzioni; a me non si fanno di tali uffizi. Siamo amici, siamo parenti. Il signor Leonardo? Oh il signor Leonardo, mi scusi, non ha da fare con me di queste cerimonie.

Ful. Se verrà da voi raccoglierete con buon amore?

Ber. E perchè non l’ho da ricevere con buon amore?

Ful. Se mi permettete dunque, lo farò venire.

Ber. Padrone, quando vuole; padrone.

Ful. Quand’è così, ora lo chiamo e lo fo venire.

Ber. E dov’è il signor Leonardo?

Ful. È di là in sala che aspetta.

Ber. In sala che aspetta? (con qualche maraviglia).

Ful. Lo farò venire, se vi contentate.

Ber. Sì, padrone; fatelo venire.

Ful. (Sentendo lui, può essere che si muova. Per me, mi è venuto a noia la parte mia) (parte).

SCENA VI.

Bernardino, Fulgenzio, e Leonardo, poi Pasquale.

Ber. Ah, ah il buon vecchio se l’è condotto seco. Ha attaccato egli la breccia, e poi ha il corpo di riserva per invigorire l’assalto.

Ful. Ecco qui il signor Leonardo.

Leo. Deh! scusatemi, signore zio...

Ber. Oh! signor nipote, la riverisco; che fa ella? Sta bene? Che fa la sua signora sorella? Che fa la mia carissima nipote? Si sono divertiti in campagna? Sono tornati con buona salute? Se la passano bene? Sì, via me ne rallegro infinitamente.

Leo. Signore, io non merito esser da voi ricevuto con tanto amore, quanto ne dimostrano le cortesi vostre parole; onde ho ragione di temere che con eccessiva bontà vogliate mascherare i rimproveri che a me sono dovuti.

Ber. Che dite, eh? Che bel talento che ha questo giovane! Che maniera di dire! Che bel discorso! (a Fulgenzio).

Ful. Tronchiamo gl’inutili ragionamenti. Sapete quel che vi ho detto. Egli ha estremo bisogno della bontà vostra, e si raccomanda a voi caldamente.

Ber. Che possa... In quel ch’io posso. Se mai potessi...

Leo. Ah! signore zio... (col cappello in mano).

Ber. Si copra.

Leo. Pur troppo la mia mala condotta...