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capitolo xxvi 217


della manomissione dì Terenzio. Mentre escon gli schiavi da una parte, Creusa entra dall’altra: ella è già libera, e sa benissimo che Terenzio ha molto contribuito alla felicità di lei, onde se prima lo amava per inclinazione, aggiunge ora all’amore la riconoscenza. Sopraggiunge Livia, e domanda a Creusa se la voce che corre a riguardo di lei ha fondamento, e se è vero che ella sia per godere a momenti la sua libertà; la Greca le risponde in modo da sconcertare l’orgoglio d’una Romana, la scena è pungente, e resta interrotta da Damone che avvisa Creusa, che Lucano la dimanda. Alla sesta scena comparisce il pretore romano preceduto da timpani ed istrumenti a fiato, da’ suoi littori e da uno scriba. Da un’altra parte entrano Lucano e Terenzio, seguitati da Lelio, da Fabio e da un numero di favoriti ed amici. Prende ognuno il suo posto, indi segue la ceremonia della manomissione nella maniera allora in uso che si può vedere nell’originale della mia commedia stampata, e che io ho descritta seguendo l’istoria.

Terenzio fa il suo ringraziamento da filosofo e poeta, dopo il quale il Pretore esce con tutto il suo seguito. Sul finir della commedia si tratta degli amori di Terenzio e Creusa; Lucano finalmente cede ogni sua pretensione, e fa in favore della Greca già libera il completo sacrifizio del suo affetto; Livia nasconde sempre il suo livore sotto l’apparenza di un forzato eroismo, e in questa guisa Terenzio gode appieno il frutto del suo merito e talento. Se qualche autore francese crede degna della sua attenzione questa commedia, troverà in cattivi versi materia bastante per farne dei buoni.

CAPITOLO XXVI.

Mio ritorno a Venezia. — Deliziosa villeggiatura. — Io vi recito in commedia. — Riesco male in una parte d’amoroso. — Mi ricatto nelle parti caricate. — Il Cavalier Giocondo, commedia in versi e di cinque atti. — Mio giudizio sopra questa composizione. — Idea di tre commedie consecutive.

Molto contento dell’incontro del mio Terenzio, me ne ritornai a Venezia, andando a passare il resto dell’estate a Bagnoli, luogo delizioso nel distretto di Padova, appartenente al conte Widiman, nobile veneziano e feudatario nei dominii imperiali. Questo ricco e generoso signore vi conduceva sempre in sua compagnia una numerosa e scelta brigata; vi si recitavano commedie nelle quali aveva parte egli pure; e benchè serio com’era, ciò nonostante non si poteva trovare arlecchino più svelto e più allegro di lui. Aveva studiato con somma attenzione il Sacchi, e lo imitava stupendamente. Io somministrava piccoli abbozzi, ma non aveva avuto mai l’ardire di recitarvi. Alcune signore della conversazione mi obbligarono a prendere una parte di amoroso; le contentai, ed esse ebbero di che divertirsi e ridere a mie spese. Ne rimasi corrucciato; e il giorno appresso sbozzai una commediola, intitolata: La Fiera, nella quale invece di farvi una parte per me, ne feci quattro, cioè di Ciarlatano, di Giocolatore, di Direttore di spettacoli e di Venditor di Storie. Nei tre primi personaggi contraffacevo i Giocolatori della piazza San Marco, e sotto la maschera del quarto spacciavo strofette critiche ed allegoriche che finivano in una lagnanza dell’autore riguardo all’essersi preso burla di lui. La celia fu trovata buona, ed eccomi vendicato alla mia usanza.