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216 parte seconda


mutare stato, che deve sposar Livia, e che per una greca, e per una schiava altro a lui non resta se non disprezzo: indirizza il discorso a Terenzio perchè confermi egli stesso tal verità, onde il poeta trovasi in impaccio, ma se ne sbriga ben presto dicendo in un senso equivoco: che bisogna rispettare tutto ciò che vien dalla bocca di un senatore romano.

Atto IV. — Terenzio in mezzo agli onori e alle ricompense ond’è ricolmato, non può godere a pieno la sua felicità, quando non divida i favori della sorte con l’arbitra del suo cuore. Damone intanto annunzia al poeta un Greco di barba grigia che parlar vorrebbe a Lucano. Terenzio, a cui è nota la Grecia, avrebbe caro di vederlo, onde Damone esce ed introduce l’Ateniese. Critone entrando si lagna del disprezzo dei Romani verso i forestieri, ma Terenzio guadagna la confidenza di questo vecchio, dichiarandosi a lui per schiavo ed Africano, e molto più presto l’ottiene, allorchè Critone riconosce in Terenzio quell’autore, per cui rivive fra i Romani il nome e la gloria del poeta Menandro. Di discorso in discorso il vecchio si manifesta per avo di Creusa: Terenzio prova un piacere sommo per tale incontro, ed interroga subito il Greco sopra il suo stato, i suoi avvenimenti e le sue intenzioni.

Critone fa il racconto delle proprie disgrazie, unendovi quelle di Creusa, dicendo essere ella stata venduta a Lucano da un mercante di schiavi chiamato Lisandro di Tracia, per la somma di due mila sesterzi, col patto però di renderla al prezzo stesso non ad altri che a chi gliela aveva già venduta. Il mercante di Tracia era morto, e Critone, che tutto aveva perduto nel naufragio da cui era poco fa scampato, salvato avea per sorte detto contratto, firmato di proprio pugno da Lucano medesimo. Terenzio offre il prezzo del riscatto di Creusa, impegna il Greco a rappresentare il personaggio di Lisandro; tanto più che entrambi esser debbono a un dipresso dell’età stessa, potendo la barba e il gergo straniero molto imporre, e senza alcuna difficoltà, sull’altrui credenza. Tutta la diversità consisteva nell’esser Critone robusto, e molto diritto, laddove il Trace, al dir del Greco, era curvo e malconcio; si prova Terenzio a farlo star curvo, ma egli ci riesce malamente, molto soffre; ed ha sospetto, che l’autor comico non voglia fare di lui un personaggio da commedia. In questo mentre Terenzio vede venir Lucano, onde fa piegare il vecchio suo malgrado e lo presenta al padrone: la scena che succede è piacevole e sommamente comica; in essa Terenzio espone a Lucano la dimanda del mercante di schiavi, e gli fa vedere il contratto firmato da lui stesso: in tale caso non può Lucano, senza commettere un’ingiustizia, ricusare la restituzione della giovine greca. Dolendogli però di privarsene, fa al vecchio molte domande, mentre egli soffre infinitamente stando sì lungo tempo in quella positura. Terenzio non lascia di farlo star curvo di più: dopo di che essendosi burlato il poeta comico tanto di Lucano, quanto di Critone, esce per andare a ricevere in nome del padrone il prezzo del riscatto di Creusa, conducendo seco il Greco estremamente affaticato. Lucano non risente ancora dispiacere di aver dato la libertà a Creusa, poichè, se i genitori la reclamano, egli spera di vincerli, proponendosi di ricolmarli di benefizi, e di maritar Creusa a qualcuno de’ suoi favoriti. Così ella non escirebbe di Roma, ed egli sempre l’avrebbe presso di sè.

Atto V. — Damone alla testa degli schiavi del suo padrone fa disporre le sedie per il pretore romano e per la gente del seguito di lui, che sono per adunarsi in casa di Lucano per la cerimonia